In
Toscana ci sono diversi paesi, come Campiglia o Casale, che non sono sul mare,
ma sono inspiegabilmente chiamati Marittimi, non si sa perché. Qua pure
Rosignano, Monterotondo, Monteverdi sono tutti Marittimi alla faccia nostra e
dal mare ci sono dei chilometri.
Mi sono informato e ho visto che esiste anche Belvedere Marittimo, in Basilicata, però quello si affaccia, allora ho capito che questa qua è una tendenza solo Toscana. In Puglia c’è perfino un paese che si chiama Marittima e basta, ma lì accanto c’è anche la sua relativa e paradossale Marina di Marittima.
Poi nei
dintorni di Massa Montagnana c’è un albergo che ho trovato per caso, ma è più a
buon mercato e poi il piccolo centro è a due passi. Massa Marittima che è più grande
e più ricca, non è lontana, ma qui siamo più vicini al mare, in meno di venti
minuti di macchina ci siamo.
L’Hotel
Bed & Breakfast La Vigna non è molto grande, ma ci si sta bene, basta aver
fortuna. Qualche volta ho preso una camera piccola con una sottile porta chiusa
vicino al letto, dall’altra parte c’erano dei marocchini, mi pare, che si
sentiva dal più piccolo al più grande rumore, pur senza tralasciare nessun
intermedio.
Dopo
qualche visita dettata dal mio lavoro di rappresentante, ho scoperto più volte,
specie nei mesi più morti, come nel mese di novembre, che ero l’unico ospite e
qualche volta ho trovato la porta aperta, verso le undici di sera e non c’era
nessuno in giro.
Allora
gli ho telefonato, a uno dei padroni per chiedere se dovevo chiudere io, visto
che avevo la chiave. Gli ho ricordato che la porta d’entrata poi poteva essere
anche di uscita, ma hanno riso e detto che non c’erano problemi, che erano lì
vicino, al loro ristorante-pizzeria-trattoria omonimo, a un centinaio di metri
di distanza e che potevo lasciare aperto.
Comunque
io per prudenza chiudevo.
Il
fatto si è più volte ripetuto e non per essere razzista o prevenuto, ma vedevo
solo marocchini, tunisini, albanesi e altri stranieri poveri e barbuti là
dentro.
I
proprietari non li ho mai incontrati, ci ho parlato solo per telefono, pagavo
sempre alla donna delle pulizie che poi era poco più che una bambina, la
mattina quando me ne andavo.
Il
borgo in questione, specialmente in autunno e inverno, è disertato dai turisti
e noi rappresentanti siamo gli unici a frequentarlo, oltre agli extracomunitari
e agli abitanti: pochi, simpatici e accoglienti un po' come tutti i maremmani.
Essendo in una posizione abbastanza strategica
e il prezzo della camera assai conveniente, è diventato il mio quartier
generale della zona e ogni tre settimane ne passo una qua.
La campagna è assai ondulata e tappezzata di
collinette con un borgo sopra a fare da ciliegina sulla torta. Si sale e si
scende per vendere cibo per animali e vari articoli che non sto qua a
raccontare, sono tanti e tutti adatti a una regione più o meno aperta e rustica
come la Maremma.
La
donna delle pulizie è una specie di ragazzina, come ho già detto, che ho
scoperto in un secondo momento avere la mia stessa età, ma pare più giovane.
È
curiosa e alla mano, mi fa un sacco di domande e io le rispondo volentieri,
persino dicendo la verità, come si fa con quelle persone che si pensa di vedere
una volta per caso e poi mai più, ma nel nostro caso Delfina è diventata ben
presto e piuttosto parte della mia vita.
Andiamo
per ordine però: come ho già accennato la latitanza del personale dell'hotel e
le sue frequentazioni poco qualificate mi hanno ben presto fatto sentire
responsabile, mio malgrado, della recidiva mancata chiusura della porta d’entrata
e mi sono trovato perfino a spiare conversazioni delle quali avrei e volentieri
fatto a meno.
La
porta poi la ritrovavo sempre aperta, anche quando ero sicuro di averla chiusa
e là dentro non c’era nessuno, almeno apparentemente.
A mangiare spesso andavo al loro ristorante dove si spendeva poco e si godeva tanto, come diceva Delfina. La loro gastronomia era un po' troppo pesante, ma dopo un po' di tempo, visto che la ragazzetta lavorava anche in cucina, oltre che in sala e in giardino, mi facevo fare delle cose più leggere e senza carne che digerisco male. In genere a base di verdure cotte o crude, qualche scarso petto di pollo alla griglia, magari una sogliola alla mugnaia, insomma cose leggere, per dormire in santa pace.
All'inizio
per quanto fosse carina e simpatica non l'avevo presa troppo in considerazione,
oltretutto era lei che mi faceva il conto e lo sbagliava sempre, facendomi
pagare sempre meno, ma assai meno del dovuto. Solo in un secondo momento ho saputo
che lo faceva di proposito, ma io vigliacco non le avevo mai detto niente. Dopo
mi sono anche vergognato.
Comunque
fosse, i padroni fantasma non le hanno mai questionato alcunché, sennò
avrebbe cambiato metodi.
Delfina
diceva che quelli avevano diverse attività e non si preoccupavano certamente
delle inezie e per come lo diceva, io capivo che forse erano anche cose losche
e che magari ci correvano parecchi soldi.
Mangiando
spesso alla Trattoria della Vigna e frequentando il borgo, avevo conosciuto e
apprezzato la compagnia del Maresciallo Casalabbate, mezzo napoletano di
famiglia, come me, ma che era nato e cresciuto a San Vincenzo, cioè non molto
lontano da noi e giustamente sul mare, e proprio per questo non era chiamato
Marittimo, come tanti altri paesi dell'immediato interno della Maremma.
“Guagliò. “Mi disse un giorno. “Nel vostro
hotel ci sono movimenti strani, non so ancora di cosa, ma vorrei scoprirlo.”
Delfina
anche simpatizzava con Agatino, il maresciallo in questione, e spesso si sedeva
con noi al tavolo a ragionare sui fatti e i contro fatti dell'attualità in
corso, senza tralasciare racconti del passato e considerazioni conseguenti o
limitrofe.
Agatino
mi sussurrò però che con lei non bisognava parlare dei risvolti loschi che lui
sospettava, perché lei era pure cugina dei padroni, che erano fratelli.
Io
domandai subito perché e lui mi fece capire che loro dovevano essere se non
coinvolti i capi del movimento in questione. Forse pensava che lo fosse anche lei.
Cominciai
a preoccuparmi un po’ di più, visto che mi ero già quasi infilato in una
torbida storia d’amore con la Delfina in questione. Il fatto che mi avesse
evidenziato più volte le attività laterali dei cugini e che secondo lei l’hotel
rappresentasse in lucro poca cosa, mi faceva ben sperare che non fosse anche collusa
in quella mafia locale.
Intanto
appizzavo le orecchie, come diceva Casalabbate, per quel poco o niente che
poteva servire, poiché quelli, astutamente o spontaneamente, parlavano di volta
in volta in albanese, rumeno, marocchino senza che io potessi capire alcunché.
Il
maresciallo per quanto simpatico e affabile era insistente e diventava sempre
più impaziente, io mi sentivo invece tra due fuochi, uno era Delfina, che mi
premeva di più nel senso che mi interessava maggiormente dell’altro, che
sarebbe stato il mio dovere di cittadino onesto e collaboratore indefesso dello
stato, ma non fesso, mi auguravo, per lo meno non completamente.
Allora
ho cercato di smarcarmi con la legge attaccata al loro cocciuto rappresentante
e di continuare la mia vita, che ovviamente mi era cara di più della loro. Gliel’ho
spiegato anche per bene, ma non pareva capirmi o forse più semplicemente non
voleva.
“Marescià
lei avrà anche ragione, ma io non ho torto, non ho firmato nessun contratto con
lei e nemmeno con lo stato italiano… e questo non me lo può contestare!”
Invece
lui me lo contestava, guarda combinazione, non tanto a parole ma con i suoi
fatti, i suoi gesti, la sua routine da caterpillar umano… ma anche un po’
disumano, certo pure disinteressato, ma poco lungimirante.
Intanto nell’hotel le attività fervevano a più
non posso e anche se non comprendevo le varie lingue parlate, capivo che
qualcosa sarebbe scoppiato, presto o tardi. Mi pareva che ci fosse pure stato
un aumento di capitale, se quella era in qualche modo una fiorente azienda, il
volume di affari stava crescendo. Gli ospiti, gli idiomi incomprensibili e la
rottura di scatole da parte di Casalabbate andavano di pari passo.
Lo
stesso ritmo aveva la mia storia con Delfina, non voglio entrare nei particolari
intimi, ma le cose andavano così bene, sia in quantità che in qualità, che lì, durante quella settimana mensile, dormivo troppo poco e mi preoccupavo
eccessivamente.
Alla
fine, o meglio: prima che ci fosse una prevedibile e brusca fine, ho parlato
con lei. Mi ha detto che lo sapeva, ma non aveva idea di cosa poteva fare e
a quel punto io ho pronunciato la famosa sequenza di frasi che avrebbe cambiato la nostra vita:
“Delfì,
qui se noi non ce la scappiamo, il mondo presto o tardi ci diventerà stretto
assai, se sei d’accordo ce ne andiamo a vivere a casa mia, smetto di fare il giro
qua e cerco un lavoro più locale, ho già qualche mezza idea.”
Da
quel giorno sono passati due anni, ci siamo sposati con i confetti e tutto, il
regolamentare riso fuori dalla chiesa romanica e così via. A Collodi ci stiamo bene, sebbene sia un
paese in salita e senza ascensore. Abbiamo già un figlio e ne stiamo
programmando un altro, che speriamo sia femmina, poi vediamo.
La
situazione all’hotel La Vigna esplose subito dopo che noi ce ne eravamo andati,
ne parlarono tutti i giornali e telegiornali. Nello scontro a fuoco morirono due trafficanti, uno algerino e l’altro albanese, feriti gravemente due uomini di Casalabbate, lui stesso ma solo di striscio. Arrestati
dodici collaboratori di varie nazionalità, tra cui quattro erano già latitanti
e i due proprietari cugini di Delfina, insomma i capi della gang. Per un pelo
non siamo stati coinvolti anche noi.
Se
il delitto paga o non paga io non lo so, ma a Massa Montagnana si lamentavano
che là non succedeva mai niente, sono stati accontentati e pagati con gli
interessi.
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