mercoledì 1 aprile 2020

UONQ


                               (Versione rivista e restaurata di un racconto del dicembre 2003)

A Uonq, la più meridionale, piccola e meno abitata delle dodici isole Olops, nel Pacifico Centrale, la risata delle donne ha un nome differente da quella degli uomini; i cani e gli animali domestici hanno nome e cognome, a ogni giorno di lavoro corrisponde il rispettivo e successivo giorno di riposo. Se il marito muore la moglie è obbligata a risposarsi prima dello scadere di due anni, ma il contrario non vale per gli uomini.
Le poche leggi di Uonq, ai nostri occhi europei, sembrano fatte, in buona sostanza, con il proposito di farsi quattro risate tra amici, però poi sono applicate con serietà. Il che è esattamente il contrario rispetto all’Italia dove le leggi sono apparentemente serie, ma è la loro applicazione che fa ridere.

A Uonq non ci sono automobili, né mezzi di trasporto che non siano barche o affini galleggianti, l’unica ruota che si può vedere è quella del timone di un unico battello a vapore. È chiaro che là non c’è energia elettrica, radio, telefono, non ci sono computer. Il capo del villaggio ha un’enorme e antica televisione a valvole, ma la usa come specchio, forse in base al quale crede di essere ancora un bel ragazzo.
I poveri di denaro, ma ricchi di spirito e proprio per questo eternamente sorridenti Uonchesi, lontani dalle rotte delle navi, senza alcun aeroporto, non hanno contatti praticamente con nessuno, a parte qualche turista alternativo che va là proprio perché vuole fuggire dal cosiddetto mondo civilizzato.
A Uonq hanno un’appena remota idea delle terre emerse occidentali, però si sentono competitivi, forse è una roba che fa parte del genere umano, è una cosa che hanno assorbito solo perché il mondo gira, per fortuna o per sfortuna, senza aver avuto praticamente alcun contatto col resto. Per via dell’abbondante orgoglio e nonostante lo scarsissimo turismo, a scuola studiano l’inglese, come seconda lingua, che suona abbastanza simile all’idioma nativo, il quale parrebbe pronunciato con un’oliva sotto la lingua. Attraverso le bocche di non tutti loro quello strano idioma risulta comprensibile a chi lo ha sentito altrove. Nonostante ciò ognuno si tuffa con coraggio, senza l’aiuto di salvagenti dialettici occidentali, nelle profonde, scure e inquinate acque della pronuncia della lingua inglese, coscienti o meno che, anche dopo anni di studio e di ferrea disciplina, non saranno mai in grado di dire una singola parola senza spanciarsi dalle risate. Quello che c’è di bello, è, che quando invece ascoltano con attenzione uno straniero che cerca di comunicare con loro, sbracciandosi come uno sbandieratore, non si vergognano per niente e hanno la capacità di fingere assai bene. Allora è proprio quando non capiscono, che fanno la faccia di chi capisce al massimo. Le conversazioni che nascono da queste due semplici componenti si potrebbero definire creative, o teatrali, oppure anche in altre maniere, dipende dai punti di vista, o dalle differenti situazioni, ma che, in genere, piacciano agli stessi inglesi, oppure agli australiani è un dato di fatto, anche se, al momento, alcuni si arrabbiano, poi ci ripensano e considerano che questa emozione vale comunque la pena di essere provata.

 Uonq è piccola, più o meno come l’isola d’Elba della Toscana, l’ampio cono della montagna sacra Koxolai, che poi è un vulcano, ne occupa almeno metà della superficie. Koxolai è anche il poderoso e irascibile dio Uonchese e Olopsiano della natura. La stampa sensazionalista occidentale potrebbe definire Koxolai una montagna assassina, trucidatrice sistematica di anime innocenti. Gli Uonchesi invece parlano di accentuato rilievo montuoso e talvolta di divinità un po’ capricciosa. Comunque sia, Koxolai domina a testa alta tutta l’isola, imponente e minaccioso, nonostante ripetute eruzioni e conseguenti massacri, nessuno se ne è mai lamentato. La natura a Uonq è sacra, quindi non si entra nel merito della sua eventuale umana giustizia, la si accetta come fatto compiuto o ciclicamente da compiere e senza discussioni inutili.

Su tutta l’isola di Uonq c’è un villaggio solo e alcune, poche, capanne sparse intorno, la boscaglia è rigogliosa e strana, tropicale ma non troppo, quindi presenta alcune specie di piante e di animali che esistono solo là e non per caso. Gli umani nativi e residenti sono duecentonovantotto in tutto, da quando, circa un anno e mezzo fa, nottetempo, Aboa se ne è andato insieme a sua moglie Tarnaq. Da sessanta anni la popolazione non scendeva sotto le trecento unità. Il gesto di Aboa, che avrà avuto certo i suoi buoni motivi, familiari o non, ha provocato però accidenti e imprecazioni da parte di tutti i rimanenti a bordo, ha precipitato l’isola nello sconforto, creando un cattivo presagio, attraverso il quale, gli dei hanno dimostrato subito il loro inequivocabile disappunto. E qui, anche se indirettamente, comincia la nostra storia.

Detto tra noi la vita ci porta a credere che l’unico mondo possibile sia quello dove stiamo vivendo, così non diamo nessuna importanza al fatto che a pochi chilometri da qui sia tutto differente; che dieci o anche solo cinque anni prima, le cose erano ben altre. Quello che ci confonde le idee è che tutto pare statico e invece è in movimento, che tutto quello che esiste sembra essere davanti ai nostri occhi e invece altrove c’è molto, troppo di più. Accettata come importante questa sottile, ma determinante verità, il procedimento più complicato da infilare nella nostra mentalità, ingannata dalla nostra vita di schiavi della democrazia moderna, è la sua applicazione pratica nella nostra routine giornaliera.

Duccio
La fuga di Aboa e le conseguenze che ne sono derivate ci hanno spinto verso Uonq: io, mia sorella Agnese, una ex bella ragazza di quaranta chili scarsi e la sua gatta Menegazzi, che all’epoca pesava quasi quanto lei. Mia sorella è una creatura assai dolce, la quale non ha ancora capito niente della vita ed è difficile che si recuperi, alla sua età. Però le voglio un gran bene, primo perché è mia sorella e secondo perché, malgrado la sua corporatura filiforme, ha molti lati positivi, tra cui una simpatia innata e una generosità acquisita nel tempo. Per esempio, mi ha promesso di regalarmi una televisione gigante a 78 pollici, al nostro ritorno in patria. Nonostante questo non so se avrei acconsentito ad accompagnarla se non fosse stato per causa delle pressioni di mammà, che quando quella comincia smette solo se e quando ti arrendi.
Ma perché proprio a Uonq?
Bah, mia sorella, da quando ha pubblicato un articolo sulla rivista Airone, due anni fa, sulla lucertola azzurra dell’isola di Yewinzee, è convinta di essere una giornalista. Di vero c’è che ama la natura, se gli danno una pianta velenosa e le dicono che è originaria della Kamchatka ed è buonissima da passare nel frullatore per berne il succo, lei non ci pensa due volte, dopo la lavanda gastrica, se riesce a recuperare la parola, dice ancora che ne è valsa comunque la pena, vi risparmio le sue spiegazioni, a livello antropologico sarebbero anche piuttosto interessanti, ma mi vergogno per lei. Aggiungerei che ad Agnese piace molto viaggiare, anche se non lo ha mai fatto, ne ha la più assoluta certezza, il viaggio se lo sente dentro. Forse è una cosa di famiglia, pure a me non dispiace, in teoria, anche se me lo gusto meglio guardando un bel documentario alla televisione, che oltre a costare meno, basta cambiare canale, per andare da un’altra parte e se non funzionasse, c’è sempre la maniera di spengere l’apparecchio, per tornare a casa, come ultima soluzione in caso di eventuale noia, anche se a casa normalmente è peggio. D’altro canto, fare migliaia di chilometri per arrivare in un luogo dove non c’è né televisione né luce elettrica mi faceva inorridire, ma mammà voi non la conoscete, ha cominciato a scassare di qui, ha continuato a scassare di là, che secondo lei non potevo lasciare la mia unica sorella da sola, mi avrebbe fatto bene stare qualche tempo senza guardare la televisione, anche la gatta sarebbe dimagrita, insomma, ci siamo capiti e se non ci fossimo capiti ci siamo ugualmente adeguati.

Agnese
Quando ho saputo del caso della misteriosa sparizione della divinità di Uonq, attraverso la mia rete di grandi, medi e piccoli amici sparsi per il globo, mi sono subitaneamente informata, al ché ho saputo che né Airone né National Geographic hanno mai parlato e/o mostrato foto di quell’isoletta dannatamente simpatica e singolare, secondo me. Da quel momento, visto che a Uonq non ci sono telefoni, mi sono messa in comunicazione con Gionny Bitols, un mio amico pugliese che da solo, con vari rumori del corpo tra cui non ultima la bocca, ma rigorosamente senza strumenti musicali, imita il quartetto di Liverpool nei bar sulle spiagge di Ghijory, una vicina isola dell’arcipelago Olops. Gionny mi ha confermato il fatto e che non ci sarebbe stato alcun problema se fossimo piombati là senza preavviso né prenotazioni, per scrivere un eventuale articolo corredato di foto. La popolazione è amichevole e riceve bene i giornalisti, anche perché non ha la minima idea di che cosa siano. Là non esistono giornali e nemmeno televisione o radio, una bella cosa, in un certo senso. Incredibile invece che le altre isolette dell’arcipelago siano tutte più sviluppate e ci si possa trovare di tutto: dalla radio portatile al telefonino cellulare con la macchina fotografica incorporata, dall’accompagnatore turistico al Parmigiano Reggiano. Forse perché Uonq ha intorno acque più profonde e delle correnti marine violente che in certi periodi li isola completamente dal resto del mondo per settimane e a volte anche dei mesi.
Niente che mi mettesse il minimo timore, comunque, non ci ho pensato su nemmeno un secondo, mi sono messa a organizzare il viaggio immediatamente. Strano che per me, che non ho mai lasciato Albarola, sia stato tanto immediato, ma era come se stessi attendendo un segnale dal cielo. Però mentre aspettavo di poter partire, pensando a tutto ciò, l’aria intorno a me è diventata opprimente.
Mi piace questa parola: opprimente.
Mi piace perché definisce assai esattamente la vita che faccio ad Albarola: io sul letto con gli occhi sul soffitto, mia madre che cucina 24 ore su 24 e mio fratello che guarda la televisione. Se non fosse per l’alito fetido e la mancanza insistita di parole dette, probabilmente neppure pensate, Duccio sarebbe un ragazzo adorabile, soprattutto perché assomiglia assai - e non solo fisicamente - a mio padre, un uomo che parlava solo se interrogato, anche se non sempre per rispondere gentilmente, un individuo coi baffi che aveva la vista e l’udito a presa diretta con la televisione.
Wittgenstein diceva che ogni cosa che conosciamo deve passare attraverso un processo comune solo agli esseri umani, cioè l’idioma. Però non tutti parlano, non solo i muti, che vorrebbero ma non possono, ma anche chi potrebbe spesso se ne sta zitto. La comunicazione non sempre è un veicolo usato da tutti nei confronti di tutti. Nel mezzo ci sono dei blocchi logici eppure inspiegabili, delle barriere, come tra me e mio fratello Duccio, che parla di più con la gatta e con mia madre, anche solo per mandarle affanculo, ma obbiettivamente si nota una comunicazione maggiore, rispetto a quella che mantiene con me. Non per questo non ci vogliamo bene, comunque.

Duccio
Per cominciare, ci siamo sparati quarantott’ore d’aereo, con vari scali e dopo altre quarantotto, tra navi e battelli di differenti tipi e misure. I marinai dicevano che era una fortuna che il mare non fosse per niente agitato. A me pareva furibondo, anche se in seguito ho pensato che forse era l’inglese dei marinai, che non era molto buono e comunque molto diverso dal mio, che già non assomiglia per niente a quello di Agnese. Aggiungerei che mia sorella non rappresenterebbe per nessuno la compagnia ideale per un viaggio, datosi che alterna momenti di irritante euforia a ore di depressione buia.

Agnese
Insomma: più o meno tutti sono convinti che il mondo giri, giri e giri e poi alla fine ti porti da qualche parte, ma sbagliano, se non ti scolli da casa tua - all’occorrenza in maniera drastica, pure nei confronti di una cara e dolce, ma oppressiva madre - tu non arriverai mai da nessuna parte. Comunque sia è bello sentirsi amata: mio fratello mi ama tanto che mi ha accompagnato a Uonq anche se là non c’è la televisione, sua pressoché unica linfa di vita, mia madre mi ama talmente tanto che è stata lei che ha costretto Duccio ad accompagnarmi e la mia gatta Menegazzi mi ama tanto che per solidarietà, o forse per compensare, più io dimagrisco e più lei ingrassa.
Viaggiando verso Uonq ho riflettuto a lungo, mio fratello cercava di pungolarmi, ma io stavo preparando il terreno per il mio articolo. L’altra volta scrissi da casa un reportage sulle lucertole azzurre di Yewinzee, ma solo perché un amico di un mio amico, che stava morendo di Aids, mi aveva lasciato il materiale, tra cui delle belle foto. Naturalmente sulla rivista Airone pubblicai il suo nome con il mio e uno speciale ringraziamento, che intanto quello aveva lasciato questa metaforica valle di lacrime. Stavolta però io sto andando sul luogo di persona e voglio fare le cose per bene. Non ho però la minima idea di come sia Uonq, a parte il fatto che deve essere morfologicamente e pure culturalmente assai differente dalle mie parti. Le montagne però ci sono anche in Abruzzo e pure il mare. In questo frangente un proverbio idiota come “Tutto il mondo è paese” potrebbe trasformarsi in qualcosa di utile, ma non credo che lo farà.

Duccio
Secondo me chi dice che l’Oceano Pacifico è selvaggio e misterioso, è perché non ha idea di che cosa significhi. I teorici appassionati viaggiatori, dovrebbero sperimentare quegli interminabili giorni, fatti prima solo di mal d’aria e poi esclusivamente di mal di mare, in più alla faccia da dentice lesso di Agnese, che quando scende nel suo mondo interno, non apre più bocca per parlare. Figurarsi che ho cominciato a conversare con Menegazzi, ma anche la sua voce la dovevo fare io, in falsetto naturalmente, per distinguerla dalla mia. Poi, la notte, quando non sto bene, io russo, a volte così forte che mi sveglio di soprassalto, dopo non mi riesce più di addormentarmi, ma quando ci riesco allora russo forte-forte e di nuovo mi sveglio e così via...
Comunque, giunti finalmente a destinazione, verso le quattro di pomeriggio di non so più quale giorno, ma anche il fuso orario era un altro e siamo stati accolti da quella che, all’inizio, appena uscito da un sonno pesante, mi è parsa un’allucinazione. Un coloratissimo gruppo folkloristico ha eseguito una specie di nenia ancestrale in crescendo, solo voci e tamburi, (ma molte voci e molti tamburi,) danzata da ballerine vestite solo l’essenziale, però facendolo muovere in una maniera diciamo così: inaspettata... meno male che non c’era mammà. Agnese è svenuta.
Si trattava, di una musica caratteristica di Uonq, il cui testo narrava, (in Uonchese arcaico, che è una specie di calabrese della Sila pronunciato con i piedi in una bacinella di acqua gelata,) la nascita della dea Keuiauh, che doveva essere una dea e tanto, con uno sguardo magnetico e tutto... magari anche con la sua bella gestualità, visto che quando è uscita dalla sua conchigliona bianca, si narra che pure gli squali siano diventati buoni e abbiano cominciato a girare intorno all’isola, in omaggio a lei, con gli altri pesci, piccoli e grandi e senza nemmeno addentarne uno. Questo me lo ha spiegato il capo della polizia locale, l’interprete e capo del comitato di ricevimento, tutto in una singola persona cespugliosa di nome Wim, che è anche l’unico straniero che vive a Uonq e, per essere precisi: un olandese sballato con un perenne spinello storto in bocca. Il capo dell’isola invece, tutto vestito di viola e con un cappello giallo a punta rivolta verso l’alto, si chiama Iennaro. Loro non pronunciano la G e la sostituiscono con quello che capita, di solito la I o la E. Il nome d’arte è in omaggio a un mezzo napoletano di Caserta che ha vissuto qui qualche anno, ma al quale tutti volevano bene e quando è affogato hanno pure pianto.
Gli uonchesi sono molto esterofili, alcuni dicono che sia perché di gente straniera ne hanno conosciuta poca o quasi nessuna.
Le regole a Uonq non sono molte, una tra le più recenti è che il capo della polizia, (che poi risulta essere anche l’unico poliziotto,) debba essere straniero, cioè non nato lì e nemmeno in un’altra isola dell’arcipelago Olops. Questa è una delle poche leggi che sono state cambiate nei tempi moderni, per evitare l’eccessiva familiarità col popolo e la conseguente corruzione. Ma io mi chiedo: che ne sanno loro della corruzione?
Fino al 1993 era permesso che un cittadino di Uonq o di un’altra isola Olops potesse occupare questo incarico, tra le altre cose molto ambito e ben pagato. Non che a Uonq gli stipendi siano molto alti, e poi la moneta corrente sono certe conchigliette piccole e arrotondate, rosa a pallini neri, ma in pratica qua non c’è maniera di spenderle e altrove nessuno se le piglia.
Terminata la cerimonia, nella quale ci siamo inchinati un ventina di volte facendo poi un giro su noi stessi, come vuole la tradizione, Wim, quell’essere dalla testa amazzonica, tanto da non potersi capire dove finivano i capelli e dove cominciava la barba, ci ha portato a casa sua. Si fa per dire, perché era una capanna che stava in piedi per miracolo e il cui bagno era il boschetto circostante. Mia sorella era sempre svenuta, ma nessuno ci faceva caso, io c’ero abituato ma gli Uonchesi, alla loro prima esperienza di quel tipo, mi hanno spiegato poi, avevano creduto che le donne italiane avessero questa particolare maniera di comportarsi, in una occasione del genere. Wim era completamente fatto. Stanchissimi, senza alcuna televisione a disposizione, con Wim che continuava a farsi delle canne e a parlare in un misto di olandese e Uonchese... mi sono reso conto che mia sorella non era stata poi così scema a svenire e anche io mi sono mentalmente eclissato. Prima fingendo di russare su un divano puzzolente, invece stavo meditando con un sistema tibetano basato sulla respirazione abbinata al conteggio da uno a cento alla rovescia. Poi mi sono addormentato davvero e ho continuato a russare,  probabilmente in maniera diversa.
Il giorno dopo Agnese era in forma e si è messa a mangiare dei frutti simili a banane, ma che avevano lo stesso odore delle triglie e neppure troppo fresche. Anche se ha insistito, non ho avuto coraggio di assaggiarle. Ho scritto subito una lettera a mammà, che tutto andava bene eccetera, tanto, prima che le arrivasse ci sarebbe voluto un mese o due. Wim era andato al lavoro, Menegazzi si stava già dedicando alla caccia agli uccelli che lì abbondavano, in quanto sacri e inviolabili. Se ne beccava uno, probabilmente, magari gli indigeni avrebbero arrostito lei. Non che io abbia niente contro Menegazzi, ma come si può amare un essere il cui passatempo consiste nel lasciare in giro i suoi innumerevoli peli e che l’unico momento in cui non pensa al cibo è - forse - quando sta mangiando? In ogni modo, a quanto mi avevano detto, le leggi non prevedevano l’esistenza di gatte, ma ce n’erano varie e feroci, di leggi dico, che proteggevano i volatili, sacri al dio Croh, uno tutto pennuto anche lui e, a quanto dicono, particolarmente intollerante rispetto a tutte le diversità e avverso a ogni tipo di eccezione.
Verso mezzogiorno è arrivato Wim e ci ha raccontato che cosa aveva fatto cominciare tutta quella catena di guai che si era spinta oltre il Pacifico ed era arrivata addirittura fino in Abruzzo, a casa Specchierla, la nostra. La maledizione era cominciata quando Aboa se ne era andato via, questo lo sapevamo già. Però da quel momento le catastrofi si erano mitragliate l’una dopo l’altra: prima un tremendo maremoto, poi un abbondante terremoto, dopo una discreta eruzione... ma queste sono state cose da poco, perché là ci sono abituati. Il peggio è stato invece quando hanno rubato la statua di Keuiuah, che vista dalle fotografie pareva uno sgorbio abnorme, ma alla quale loro erano legati in maniera morbosa. Tanto ci erano affezionati che Wim, dopo dieci anni di onorata carriera, non aveva potuto andare in ferie. Fatti i conti, con questo ultimo dato, mi è parso logico che lui era stato il primo e unico poliziotto straniero dell’isola, insomma un caso storico. Con tutto il lavoro che aveva fatto, così tanto e così bene, per dieci anni, per colpa di quella statua gli avevano negato le sue sacrosante ferie. Tra l’altro ero curioso di sapere cosa fa in ferie un tipo come le lui, ma, anche in seguito a mia ripetuta richiesta, Wim non me ne ha steso alcun rapporto, né orale né tantomeno scritto, in mio onore. Intanto, mentre mia sorella  cominciava a chiedere cose in giro per il suo articolo, a fare fotografie con una sua macchinetta automatica rosa a fiorellini azzurri, abbiamo appreso che i casi che Wim aveva risolto, non avevano mai superato  - in difficoltà e pericolosità - il furto di un pesce per scherzo di un ragazzo a suo padre, qualche eccessivo rutto molesto di turisti ubriachi, un cittadino Uonchese sorpreso con uno spinello, il quale diceva che non sapeva nemmeno cos’era, lo aveva trovato per terra e alla fine se lo sono fumato insieme, e cose di questo genere o di minore importanza. A Uonq a parte le eruzioni e i maremoti non era mai successo niente di niente e fare il poliziotto là era, senza inutili eufemismi, una vera e propria vacanza nei mari del sud. Intanto, dai suoi scaffali, avevo visto che Wim leggeva romanzi tascabili di Simenon, e più precisamente quelli del commissario Maigret, con il quale, aveva in comune la pipa, però, invece del tabacco, ci si fumava la marijuana.

Agnese
La festa annuale di Keuiuah, la principale dea dell’isola, è a maggio, secondo il nostro calendario, ma il loro anno è di tredici mesi e un mese varia dai dodici ai ventiquattro giorni. Il criterio non l’ho capito, ma credo che sia abbastanza elastico e perciò migliore del nostro, che invece si ripete sempre uguale con unica eccezione del 29 febbraio che salta fuori ogni tanto, ma senza più sorprendere nessuno. Ci sono altri otto tra dei e dee, alcuni sono dei misti di animali pelosi con pesci, serpentelli, polipi e draghi e persino di frutti esotici... robe strane, insomma, che c’è da morire dal ridere, ma meglio non farlo in presenza di un cittadino uonchese. Wim ci crede anche lui a tutte queste cose, non tralasciando parallelamente di essere praticante Musulmano.

Duccio
Insomma, anche durante la festa la statua della Dea rimane sempre nel suo apposito antro, quella che usano per la festa è di legno, più facile da portare in processione. È subito fuori dal villaggio, sulle pendici del monte Koxolai. Non c’è sorveglianza, non ce n’è bisogno, almeno così avevano pensato fino al maggio scorso. Nella grotta, i giorni successivi, poi, vanno a pregare e a chiedere miracoli e grazie. La montagna è piena di anfratti e buchi, da notare che qui esistono solo sabbia e roccia, niente terra propriamente detta.
Il giorno dopo la grande festa, durante la quale tutti si ubriacano con una specie di pappetta fatta di un determinato tipo di frutta fermentata chiamata Gwala, che veramente più che un alcolico è una droga allucinogena. Il primo fervente religioso che è andato alla grotta ha pensato di essere ancora troppo fuori di testa e non ha creduto alle sue fosche pupille. Ci è tornato con sua moglie che però anche lei aveva esagerato e non poteva vedere la statua, essendo allegrotta anzichenò. Pensa che ti ripensa hanno chiamato il sacerdote che era l’unico che non poteva bere quel frullato infernale, tornati là con lui hanno avuto la temuta conferma: anche il sacerdote aveva alzato il proverbiale gomito, nonostante le tassative norme locali.
Insomma quando si sono ricordati che Wim era il personaggio più credibile dell’isola, che secondo loro non beve, perché la sua religione maomettana glielo impedisce, lo hanno preso di forza, mentre si stava facendo una ennesima canna e lo hanno portato là. Finalmente tornati in sé per la fatica del trasporto, hanno avuto la certezza che la statua non c’era più. Secondo me Wim non aveva capito nemmeno cosa stava succedendo, ma nella confusione generale era difficile accorgersene. Tutto questo secondo il racconto di Ruantzoo, un ragazzo amico dell’olandese che sa parlare l’italiano maccheronico come nessun altro e quasi senza ridere. Visto che la statua originale è di pietra, sono necessarie almeno dieci persone per trasportarla, l’unica notte in cui è possibile rubarla è proprio quella, perché il caos regna sovrano e tutti sono in preda ai fumi di quella pappetta fermentata che anche se vedessero qualcosa penserebbero che si tratta di un’allucinazione o due. Ci hanno spiegato che le feste degli altri otto dei sono cose più modeste e non c’è uso di Gwala, né di cose che possono intorpidire i sensi della gente.

Agnese
La grotta finalmente siamo stati a visitarla: un’apertura assai stretta e bassa, nel mezzo della fitta vegetazione, gli Uonchesi che sono bassi entrano abbassando un poco la testa, noi dobbiamo curvarci di più, una volta dentro diventa grandissima e di forma più o meno di uovo diviso a metà nel senso della lunghezza. In fondo, nella parte più larga, c’era stata la statua, si vedeva ancora il grande rettangolo della base stampato sul suolo, il terreno in superficie è smosso perché sabbioso. Se avessero dovuto, dato il peso, trascinarla via si sarebbe visto qualcosa per terra invece no, solo centinaia di impronte di piedi sovrapposte. Anche farla passare dall’uscita, che per logica coincidenza corrisponde all’entrata, non credo che sarebbe stato facile, la base rettangolare è assai larga e alta.

Duccio
Intorno ci sono decine di grotte con le aperture molto vicine l’una all’altra, in alcuni casi comunicanti. In una di queste, in un secondo momento, Menegazzi si è persa ed è stata ritrovata da un cacciatore dall’altra parte della montagna, due giorni dopo, con alcuni chili di ciccia in meno. Se i pochi stranieri che visitano Uonq, non se li portano da dove vengono, là non ci sono alcolici né droghe, fatta eccezione per quella robetta lì che, dicono, è anche un formidabile afrodisiaco e a quanto pare, per legge, solo una volta all’anno è disponibile perché il resto dei 365 giorni deve riposare e tranquillamente fermentare.


Agnese
Le notizie per l’articolo sono tante, troppe, dovrò fare una selezione, le persone sono molto disponibili, tutti hanno voglia di raccontare le loro cose e anche quelle degli altri, pare che anche qua il pettegolezzo sia uno sport molto praticato. Il peggio è che, quando parlano di argomenti di pubblico dominio, le informazioni divergono, pare che ognuno abbia, non solo diverse opinioni, ma anche convinzioni a volte opposte su argomenti che dovrebbero essere oggettivi. Un po’ come in Abruzzo, ma da noi la gente parla meno.
           
Duccio
Ho visto molti gialli alla televisione e ho capito che il movente è molto importante. Allora chi aveva interesse nel fare sparire la statua? Questo aiuterebbe a trovare il colpevole, conseguentemente anche la statua, ma chi conosce gli Uonchesi è Wim e non io. Secondo lui nessuno di qui ha motivo di fare una cosa del genere. Quello che stupisce di più è il fatto che con tutto quel peso la statua enorme si sia volatilizzata. La grotta in questione non comunica con le altre lì vicine, ma hanno quasi tutte la stessa forma semi-ovale. Qui tutti camminano scalzi, abbiamo imparato anche noi, le impronte dei piedi sono tutte uguali sulla sabbia asciutta. L’umidità di Uonk è piuttosto volatile e lunatica.

Agnese
Secondo me il colpevole è un individuo esterno a questa comunità, per esempio qualcuno proveniente da qualche altra isola. O più facilmente molti isolani. Qui non ci sono macchine né mezzi di trasporto, solo la forza delle braccia di tanti forti pescatori potrebbero aver fatto questo... Fumando una canna enorme con Wim il mio cervello è andato in trance e ha viaggiato portandomi in un luogo non molto lontano da qui, seppur neanche troppo vicino, dove anticamente è successo un fatto storico indicativo e utile per noi: l’isola di Pasqua. Come facevano quei pazzi a spostare quei testoni enormi? Facendoli rotolare su pali di legno. Wim ha apprezzato il parallelo, ha cercato e fatto cercare dove si potessero trovare dei pali e alberi tagliati all’uopo.

Duccio
Se sull’isola di Pasqua hanno fatto camminare degli enormi roccioni lavorati a forma di testa, lo hanno fatto con un procedimento elementare e antico... rotolare dei pali sotto il grande peso. Ci siamo messi tutti alla ricerca. L’idea di mia sorella è stata geniale, magari sta cominciando a ripigliarsi. Forse stimolata dalle fumate con Wim, anche io ho iniziato a farmi le mie prime e anche seconde cannette, non smettevano mai di passarmele. All’inizio non mi facevano niente, al massimo vomitavo un po’, ma nessuna, nemmeno piccola visione mistica e anche la respirazione delle rocce all’inizio era più stanca e apatica, ma poi è aumentata in qualità e quantità. Insistendo nel processo, cominciando anche a sospettare che la mia persona fosse insensibile a queste sostanze, sono uscito in mezzo al bosco con una di queste sigarettone in bocca, sono sceso fino al mare. La sabbia era bianca e l’acqua bassa, lo spinello si è bagnato, ma ne avevo già fumato la metà. Sott’acqua il mondo ha cominciato a colorarsi, l’effetto della marijuana forse ha raggiunto in quel momento il suo zenit e mi pareva tutto bellissimo, pulsante e strano come non mi era mai sembrato. Quando mi sono ripreso un pescatore grasso e sudato mi stava facendo la respirazione bocca a bocca. Uno schifo necessario, va bene, ma pur sempre uno schifo.

Agnese
Mio fratello ieri, dopo aver fumato si è buttato in mare in immersione, come subacqueo l’unica esperienza che aveva era guardare i documentari di Cousteau alla TV e l’hanno salvato solo per un colpo di fortuna, un pescatore che stava passando in canoa lo ha visto andar sotto e poi non tornava più su. Non solo Duccio è sopravvissuto, ma ha una faccia differente ora, mi sembra.
L’articolo che sto scrivendo è molto interessante, lo ha detto anche Wim. Ammetto che ultimamente stiamo un poco esagerando con le canne, ma pare che il mio lavoro stia andando bene e questo è quello che conta. Non possiamo sviluppare le foto qui, e ne ho già scattate un centinaio. Sto scrivendo un articolo a parte, anche sull’evasione, nel senso che la civiltà occidentale è alienante e per noi vivere qua sarebbe meraviglioso. Per l’uomo moderno la fuga dal niente prefabbricato e galoppante, dai problemi e dallo stress, indossata spesso o quasi sempre tramite alcolici o droghe, è un surrogato più caro e meno salutare di quello che sarebbe invece, piantare tutto e venirsene qua per qualche decennio. Il fatto che qua si fumi marijuana, nella cornice meravigliosa di questi paesaggi e della stupenda esperienza umana che stiamo facendo, con questa gente serena e semplice, forse è un’esagerazione non completamente inutile, ci aiuta ad aprire il cervello, rattrappito e atrofizzato, troppo limitato dalle esperienze precedenti, o forse dalla loro effettiva ma dolorosa mancanza.

Duccio
Wim coltiva la sua erba da solo, ne ha un campetto pieno, il clima è assai favorevole e siccome qui non la conosce quasi nessuno non gliela rubano, né sanno a cosa serve. Personalmente non credevo che fumare ti portasse via a questo modo, ti facesse volare nel mezzo di tutto quello che c’era anche prima, ma non ci avevi fatto caso. Insomma non credevo che ti stappasse le orecchie così, cioè in maniera più che gradevole. Come dice mia sorella il fumo ci porta a comprendere, ad assimilare meglio questa vita, tanto differente dalla nostra e perciò difficile ad abituarcisi, almeno all’inizio. Mi pare di non aver mai visto il mondo così colorato e bello, mi sono anche abituato a vivere senza televisione. Agnese è ingrassata un poco ed è veramente più bella e allegra, anche perché scrivendo il suo articolo si sente bene e appena si ferma a pensare Wim le infila sempre uno spinello in bocca. Wim, dentro la sua foresta di peli e di canne, è definitivamente un uomo pregevole, forse anche quasi carismatico.
 La storia si stava finalmente mischiando con la geografia, come aveva detto la profezia, quando, due mesi dopo, un uomo chiamato Gurfi, apparentemente per puro caso, cadde da una roccia dentro una grotta, escoriazioni varie e un dolore forte al braccio sinistro gli fecero vedere le stelle, almeno all’inizio, ma quando le stelle se ne andarono, là davanti a lui c’era la statua di Keuiauh. Le indagini svolte dal perspicace detective Wim Brokamp determinarono che dei burloni abitanti di altre isole Olops, con ogni probabilità invidiosi della statua, avevano nascosto l’ingresso della grotta con un mucchio di sabbia, in più piantandovi alberelli e cespugli. In seguito avevano artefatto la forma rettangolare sul suolo dentro un’altra grotta lì vicina, come tante altre, del tutto simile, simulandone la base della statua scomparsa. In sintesi: uno scherzetto riuscito grazie all’ingenuità degli Uonchesi e alla festa della dea Keuiauh, la gente allucinata era caduta in un tranello, per fortuna loro non se la prendono mai e ci stavano già ridendo su con un certo gusto. Si stava organizzando addirittura una festa di ringraziamento, gli dei non erano più arrabbiati, anzi, con la venuta di Duccio e Agnese, che intendevano stabilirsi a Uonq, il numero degli abitanti era ripristinato e si ritornava alle regolamentari 300 unità.
L’articolo di Agnese non è stato mai spedito né pubblicato, tutto il materiale dimenticato in un angolo. In compenso è stato stabilito che Menegazzi è finalmente la reincarnazione di una dea felina, chissà perché caduta nell’oblio fino a quel momento, chiamata pelosa mangiatrice di tutto quello che si muove, in Uonchese pare che si dica Ukrr, nome onomatopeico che a noi abruzzesi ignoranti sembrerebbe stranamente corto, per fortuna la nostra stupida razionalità occidentale sta progressivamente scolorendo e ci stiamo fondendo nella tipica mentalità isolana allegrotta e spensierata.


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