(Versione rivista e restaurata di un racconto del dicembre 2003)
A
Uonq, la più meridionale, piccola e meno abitata delle dodici isole Olops, nel
Pacifico Centrale, la risata delle donne ha un nome differente da quella degli
uomini; i cani e gli animali domestici hanno nome e cognome, a ogni giorno di
lavoro corrisponde il rispettivo e successivo giorno di riposo. Se il marito
muore la moglie è obbligata a risposarsi prima dello scadere di due anni, ma il
contrario non vale per gli uomini.
Le
poche leggi di Uonq, ai nostri occhi europei, sembrano fatte, in buona sostanza,
con il proposito di farsi quattro risate tra amici, però poi sono applicate con
serietà. Il che è esattamente il contrario rispetto all’Italia dove le leggi
sono apparentemente serie, ma è la loro applicazione che fa ridere.
A
Uonq non ci sono automobili, né mezzi di trasporto che non siano barche o
affini galleggianti, l’unica ruota che si può vedere è quella del timone di un unico
battello a vapore. È chiaro che là non c’è energia elettrica, radio, telefono,
non ci sono computer. Il capo del villaggio ha un’enorme e antica televisione a
valvole, ma la usa come specchio, forse in base al quale crede di essere ancora
un bel ragazzo.
I
poveri di denaro, ma ricchi di spirito e proprio per questo eternamente
sorridenti Uonchesi, lontani dalle rotte delle navi, senza alcun aeroporto, non
hanno contatti praticamente con nessuno, a parte qualche turista alternativo
che va là proprio perché vuole fuggire dal cosiddetto mondo civilizzato.
A
Uonq hanno un’appena remota idea delle terre emerse occidentali, però si
sentono competitivi, forse è una roba che fa parte del genere umano, è una cosa
che hanno assorbito solo perché il mondo gira, per fortuna o per sfortuna,
senza aver avuto praticamente alcun contatto col resto. Per via dell’abbondante
orgoglio e nonostante lo scarsissimo turismo, a scuola studiano l’inglese, come
seconda lingua, che suona abbastanza simile all’idioma nativo, il quale
parrebbe pronunciato con un’oliva sotto la lingua. Attraverso le bocche di non
tutti loro quello strano idioma risulta comprensibile a chi lo ha sentito
altrove. Nonostante ciò ognuno si tuffa con coraggio, senza l’aiuto di
salvagenti dialettici occidentali, nelle profonde, scure e inquinate acque
della pronuncia della lingua inglese, coscienti o meno che, anche dopo anni di
studio e di ferrea disciplina, non saranno mai in grado di dire una singola
parola senza spanciarsi dalle risate. Quello che c’è di bello, è, che quando
invece ascoltano con attenzione uno straniero che cerca di comunicare con loro,
sbracciandosi come uno sbandieratore, non si vergognano per niente e hanno la
capacità di fingere assai bene. Allora è proprio quando non capiscono, che
fanno la faccia di chi capisce al massimo. Le conversazioni che nascono da
queste due semplici componenti si potrebbero definire creative, o teatrali,
oppure anche in altre maniere, dipende dai punti di vista, o dalle differenti
situazioni, ma che, in genere, piacciano agli stessi inglesi, oppure agli
australiani è un dato di fatto, anche se, al momento, alcuni si arrabbiano, poi
ci ripensano e considerano che questa emozione vale comunque la pena di essere
provata.
Uonq è piccola, più o meno come l’isola d’Elba
della Toscana, l’ampio cono della montagna sacra Koxolai, che poi è un vulcano,
ne occupa almeno metà della superficie. Koxolai è anche il poderoso e
irascibile dio Uonchese e Olopsiano della natura. La stampa sensazionalista
occidentale potrebbe definire Koxolai una montagna assassina, trucidatrice
sistematica di anime innocenti. Gli Uonchesi invece parlano di accentuato rilievo
montuoso e talvolta di divinità un po’ capricciosa. Comunque sia, Koxolai
domina a testa alta tutta l’isola, imponente e minaccioso, nonostante ripetute
eruzioni e conseguenti massacri, nessuno se ne è mai lamentato. La natura a
Uonq è sacra, quindi non si entra nel merito della sua eventuale umana giustizia,
la si accetta come fatto compiuto o ciclicamente da compiere e senza
discussioni inutili.
Su tutta l’isola di Uonq c’è un
villaggio solo e alcune, poche, capanne sparse intorno, la boscaglia è rigogliosa
e strana, tropicale ma non troppo, quindi presenta alcune specie di piante e di
animali che esistono solo là e non per caso. Gli umani nativi e residenti sono
duecentonovantotto in tutto, da quando, circa un anno e mezzo fa, nottetempo,
Aboa se ne è andato insieme a sua moglie Tarnaq. Da sessanta anni la
popolazione non scendeva sotto le trecento unità. Il gesto di Aboa, che avrà
avuto certo i suoi buoni motivi, familiari o non, ha provocato però accidenti e
imprecazioni da parte di tutti i rimanenti a bordo, ha precipitato l’isola
nello sconforto, creando un cattivo presagio, attraverso il quale, gli dei
hanno dimostrato subito il loro inequivocabile disappunto. E qui, anche se
indirettamente, comincia la nostra storia.
Detto tra noi la vita ci porta a credere che l’unico mondo possibile sia
quello dove stiamo vivendo, così non diamo nessuna importanza al fatto che a
pochi chilometri da qui sia tutto differente; che dieci o anche solo cinque
anni prima, le cose erano ben altre. Quello che ci confonde le idee
è che tutto pare statico e invece è in movimento, che tutto quello che esiste
sembra essere davanti ai nostri occhi e invece altrove c’è molto, troppo di
più. Accettata come importante questa sottile, ma determinante verità, il
procedimento più complicato da infilare nella nostra mentalità, ingannata dalla
nostra vita di schiavi della democrazia moderna, è la sua applicazione pratica
nella nostra routine giornaliera.
Duccio
La fuga di Aboa e le conseguenze che ne sono derivate ci hanno spinto verso
Uonq: io, mia sorella Agnese, una ex bella ragazza di quaranta chili scarsi e
la sua gatta Menegazzi, che all’epoca pesava quasi quanto lei. Mia sorella è
una creatura assai dolce, la quale non ha ancora capito niente della vita ed è
difficile che si recuperi, alla sua età. Però le voglio un gran bene, primo
perché è mia sorella e secondo perché, malgrado la sua corporatura filiforme,
ha molti lati positivi, tra cui una simpatia innata e una generosità acquisita
nel tempo. Per esempio, mi ha promesso di regalarmi una televisione gigante a 78
pollici, al nostro ritorno in patria. Nonostante questo non so se avrei
acconsentito ad accompagnarla se non fosse stato per causa delle pressioni di
mammà, che quando quella comincia smette solo se e quando ti arrendi.
Ma perché proprio a Uonq?
Bah, mia sorella, da quando ha pubblicato un articolo sulla rivista Airone,
due anni fa, sulla lucertola azzurra dell’isola di Yewinzee, è convinta di
essere una giornalista. Di vero c’è che ama la natura, se gli danno una pianta
velenosa e le dicono che è originaria della Kamchatka ed è buonissima da
passare nel frullatore per berne il succo, lei non ci pensa due volte, dopo la
lavanda gastrica, se riesce a recuperare la parola, dice ancora che ne è valsa comunque
la pena, vi risparmio le sue spiegazioni, a livello antropologico sarebbero
anche piuttosto interessanti, ma mi vergogno per lei. Aggiungerei che ad Agnese
piace molto viaggiare, anche se non lo ha mai fatto, ne ha la più assoluta
certezza, il viaggio se lo sente dentro. Forse è una cosa di famiglia, pure a
me non dispiace, in teoria, anche se me lo gusto meglio guardando un bel
documentario alla televisione, che oltre a costare meno, basta cambiare canale,
per andare da un’altra parte e se non funzionasse, c’è sempre la maniera di
spengere l’apparecchio, per tornare a casa, come ultima soluzione in caso di eventuale
noia, anche se a casa normalmente è peggio. D’altro canto, fare migliaia di
chilometri per arrivare in un luogo dove non c’è né televisione né luce elettrica
mi faceva inorridire, ma mammà voi non la conoscete, ha cominciato a scassare
di qui, ha continuato a scassare di là, che secondo lei non potevo lasciare la
mia unica sorella da sola, mi avrebbe fatto bene stare qualche tempo senza
guardare la televisione, anche la gatta sarebbe dimagrita, insomma, ci siamo
capiti e se non ci fossimo capiti ci siamo ugualmente adeguati.
Agnese
Quando ho saputo del caso della misteriosa sparizione della divinità di
Uonq, attraverso la mia rete di grandi, medi e piccoli amici sparsi per il
globo, mi sono subitaneamente informata, al ché ho saputo che né Airone né
National Geographic hanno mai parlato e/o mostrato foto di quell’isoletta
dannatamente simpatica e singolare, secondo me. Da quel momento, visto che a
Uonq non ci sono telefoni, mi sono messa in comunicazione con Gionny Bitols, un
mio amico pugliese che da solo, con vari rumori del corpo tra cui non ultima la
bocca, ma rigorosamente senza strumenti musicali, imita il quartetto di
Liverpool nei bar sulle spiagge di Ghijory, una vicina isola dell’arcipelago
Olops. Gionny mi ha confermato il fatto e che non ci sarebbe stato alcun
problema se fossimo piombati là senza preavviso né prenotazioni, per scrivere
un eventuale articolo corredato di foto. La popolazione è amichevole e riceve
bene i giornalisti, anche perché non ha la minima idea di che cosa siano. Là
non esistono giornali e nemmeno televisione o radio, una bella cosa, in un
certo senso. Incredibile invece che le altre isolette dell’arcipelago siano
tutte più sviluppate e ci si possa trovare di tutto: dalla radio portatile al
telefonino cellulare con la macchina fotografica incorporata,
dall’accompagnatore turistico al Parmigiano Reggiano. Forse perché Uonq ha
intorno acque più profonde e delle correnti marine violente che in certi
periodi li isola completamente dal resto del mondo per settimane e a volte
anche dei mesi.
Niente che mi mettesse il minimo timore, comunque, non ci ho pensato su
nemmeno un secondo, mi sono messa a organizzare il viaggio immediatamente. Strano
che per me, che non ho mai lasciato Albarola, sia stato tanto immediato, ma era
come se stessi attendendo un segnale dal cielo. Però mentre aspettavo di poter
partire, pensando a tutto ciò, l’aria intorno a me è diventata opprimente.
Mi piace questa parola: opprimente.
Mi piace perché definisce assai esattamente la vita che faccio ad Albarola:
io sul letto con gli occhi sul soffitto, mia madre che cucina 24 ore su 24 e
mio fratello che guarda la televisione. Se non fosse per l’alito fetido e la mancanza
insistita di parole dette, probabilmente neppure pensate, Duccio sarebbe un
ragazzo adorabile, soprattutto perché assomiglia assai - e non solo fisicamente
- a mio padre, un uomo che parlava solo se interrogato, anche se non sempre per
rispondere gentilmente, un individuo coi baffi che aveva la vista e l’udito a
presa diretta con la televisione.
Wittgenstein diceva che ogni cosa che conosciamo deve passare attraverso un
processo comune solo agli esseri umani, cioè l’idioma. Però non tutti parlano,
non solo i muti, che vorrebbero ma non possono, ma anche chi potrebbe spesso se
ne sta zitto. La comunicazione non sempre è un veicolo usato da tutti nei
confronti di tutti. Nel mezzo ci sono dei blocchi logici eppure inspiegabili,
delle barriere, come tra me e mio fratello Duccio, che parla di più con la
gatta e con mia madre, anche solo per mandarle affanculo, ma obbiettivamente si
nota una comunicazione maggiore, rispetto a quella che mantiene con me. Non per
questo non ci vogliamo bene, comunque.
Duccio
Per cominciare, ci siamo sparati quarantott’ore d’aereo, con vari scali e
dopo altre quarantotto, tra navi e battelli di differenti tipi e misure. I
marinai dicevano che era una fortuna che il mare non fosse per niente agitato.
A me pareva furibondo, anche se in seguito ho pensato che forse era l’inglese
dei marinai, che non era molto buono e comunque molto diverso dal mio, che già
non assomiglia per niente a quello di Agnese. Aggiungerei che mia sorella non
rappresenterebbe per nessuno la compagnia ideale per un viaggio, datosi che
alterna momenti di irritante euforia a ore di depressione buia.
Agnese
Insomma: più o meno tutti sono convinti che il mondo giri, giri e giri e
poi alla fine ti porti da qualche parte, ma sbagliano, se non ti scolli da casa
tua - all’occorrenza in maniera drastica, pure nei confronti di una cara e
dolce, ma oppressiva madre - tu non arriverai mai da nessuna parte. Comunque
sia è bello sentirsi amata: mio fratello mi ama tanto che mi ha accompagnato a
Uonq anche se là non c’è la televisione, sua pressoché unica linfa di vita, mia
madre mi ama talmente tanto che è stata lei che ha costretto Duccio ad
accompagnarmi e la mia gatta Menegazzi mi ama tanto che per solidarietà, o
forse per compensare, più io dimagrisco e più lei ingrassa.
Viaggiando verso Uonq ho riflettuto a lungo, mio fratello cercava di
pungolarmi, ma io stavo preparando il terreno per il mio articolo. L’altra
volta scrissi da casa un reportage sulle lucertole azzurre di Yewinzee, ma solo
perché un amico di un mio amico, che stava morendo di Aids, mi aveva lasciato
il materiale, tra cui delle belle foto. Naturalmente sulla rivista Airone
pubblicai il suo nome con il mio e uno speciale ringraziamento, che intanto
quello aveva lasciato questa metaforica valle di lacrime. Stavolta però io sto
andando sul luogo di persona e voglio fare le cose per bene. Non ho però la
minima idea di come sia Uonq, a parte il fatto che deve essere morfologicamente
e pure culturalmente assai differente dalle mie parti. Le montagne però ci sono
anche in Abruzzo e pure il mare. In questo frangente un proverbio idiota come “Tutto il mondo è paese” potrebbe
trasformarsi in qualcosa di utile, ma non credo che lo farà.
Duccio
Secondo me chi dice che l’Oceano Pacifico è selvaggio e misterioso, è perché
non ha idea di che cosa significhi. I teorici appassionati viaggiatori,
dovrebbero sperimentare quegli interminabili giorni, fatti prima solo di mal
d’aria e poi esclusivamente di mal di mare, in più alla faccia da dentice lesso
di Agnese, che quando scende nel suo mondo interno, non apre più bocca per
parlare. Figurarsi che ho cominciato a conversare con Menegazzi, ma anche la
sua voce la dovevo fare io, in falsetto naturalmente, per distinguerla dalla
mia. Poi, la notte, quando non sto bene, io russo, a volte così forte che mi
sveglio di soprassalto, dopo non mi riesce più di addormentarmi, ma quando ci
riesco allora russo forte-forte e di nuovo mi sveglio e così via...
Comunque, giunti finalmente a destinazione, verso le quattro di pomeriggio
di non so più quale giorno, ma anche il fuso orario era un altro e siamo stati
accolti da quella che, all’inizio, appena uscito da un sonno pesante, mi è
parsa un’allucinazione. Un coloratissimo gruppo folkloristico ha eseguito una
specie di nenia ancestrale in crescendo, solo voci e tamburi, (ma molte voci e
molti tamburi,) danzata da ballerine vestite solo l’essenziale, però facendolo
muovere in una maniera diciamo così: inaspettata... meno male che non c’era
mammà. Agnese è svenuta.
Si trattava, di una musica caratteristica di Uonq, il cui testo narrava,
(in Uonchese arcaico, che è una specie di calabrese della Sila pronunciato con
i piedi in una bacinella di acqua gelata,) la nascita della dea Keuiauh, che
doveva essere una dea e tanto, con uno sguardo magnetico e tutto... magari
anche con la sua bella gestualità, visto che quando è uscita dalla sua
conchigliona bianca, si narra che pure gli squali siano diventati buoni e abbiano
cominciato a girare intorno all’isola, in omaggio a lei, con gli altri pesci,
piccoli e grandi e senza nemmeno addentarne uno. Questo me lo ha spiegato il
capo della polizia locale, l’interprete e capo del comitato di ricevimento, tutto
in una singola persona cespugliosa di nome Wim, che è anche l’unico straniero
che vive a Uonq e, per essere precisi: un olandese sballato con un perenne
spinello storto in bocca. Il capo dell’isola invece, tutto vestito di viola e
con un cappello giallo a punta rivolta verso l’alto, si chiama Iennaro. Loro
non pronunciano la G e la sostituiscono con quello che capita, di solito la I o
la E. Il nome d’arte è in omaggio a un mezzo napoletano di Caserta che ha
vissuto qui qualche anno, ma al quale tutti volevano bene e quando è affogato
hanno pure pianto.
Gli uonchesi sono molto esterofili, alcuni dicono che sia perché di gente
straniera ne hanno conosciuta poca o quasi nessuna.
Le regole a Uonq non sono molte, una tra le più recenti è che il capo della
polizia, (che poi risulta essere anche l’unico poliziotto,) debba essere
straniero, cioè non nato lì e nemmeno in un’altra isola dell’arcipelago Olops.
Questa è una delle poche leggi che sono state cambiate nei tempi moderni, per
evitare l’eccessiva familiarità col popolo e la conseguente corruzione. Ma io
mi chiedo: che ne sanno loro della corruzione?
Fino al 1993 era permesso che un cittadino di Uonq o di un’altra isola
Olops potesse occupare questo incarico, tra le altre cose molto ambito e ben
pagato. Non che a Uonq gli stipendi siano molto alti, e poi la moneta corrente sono
certe conchigliette piccole e arrotondate, rosa a pallini neri, ma in pratica
qua non c’è maniera di spenderle e altrove nessuno se le piglia.
Terminata la cerimonia, nella quale ci siamo inchinati un ventina di volte
facendo poi un giro su noi stessi, come vuole la tradizione, Wim, quell’essere
dalla testa amazzonica, tanto da non potersi capire dove finivano i capelli e
dove cominciava la barba, ci ha portato a casa sua. Si fa per dire, perché era
una capanna che stava in piedi per miracolo e il cui bagno era il boschetto
circostante. Mia sorella era sempre svenuta, ma nessuno ci faceva caso, io
c’ero abituato ma gli Uonchesi, alla loro prima esperienza di quel tipo, mi
hanno spiegato poi, avevano creduto che le donne italiane avessero questa
particolare maniera di comportarsi, in una occasione del genere. Wim era
completamente fatto. Stanchissimi, senza alcuna televisione a disposizione, con
Wim che continuava a farsi delle canne e a parlare in un misto di olandese e
Uonchese... mi sono reso conto che mia sorella non era stata poi così scema a
svenire e anche io mi sono mentalmente eclissato. Prima fingendo di russare su
un divano puzzolente, invece stavo meditando con un sistema tibetano basato
sulla respirazione abbinata al conteggio da uno a cento alla rovescia. Poi mi
sono addormentato davvero e ho continuato a russare, probabilmente in maniera diversa.
Il giorno dopo Agnese era in forma e si è messa a mangiare dei frutti
simili a banane, ma che avevano lo stesso odore delle triglie e neppure troppo
fresche. Anche se ha insistito, non ho avuto coraggio di assaggiarle. Ho
scritto subito una lettera a mammà, che tutto andava bene eccetera, tanto,
prima che le arrivasse ci sarebbe voluto un mese o due. Wim era andato al
lavoro, Menegazzi si stava già dedicando alla caccia agli uccelli che lì
abbondavano, in quanto sacri e inviolabili. Se ne beccava uno, probabilmente, magari
gli indigeni avrebbero arrostito lei. Non che io abbia niente contro Menegazzi,
ma come si può amare un essere il cui passatempo consiste nel lasciare in giro
i suoi innumerevoli peli e che l’unico momento in cui non pensa al cibo è -
forse - quando sta mangiando? In ogni modo, a quanto mi avevano detto, le leggi
non prevedevano l’esistenza di gatte, ma ce n’erano varie e feroci, di leggi
dico, che proteggevano i volatili, sacri al dio Croh, uno tutto pennuto anche
lui e, a quanto dicono, particolarmente intollerante rispetto a tutte le
diversità e avverso a ogni tipo di eccezione.
Verso mezzogiorno è arrivato Wim e ci ha raccontato che cosa aveva fatto
cominciare tutta quella catena di guai che si era spinta oltre il Pacifico ed
era arrivata addirittura fino in Abruzzo, a casa Specchierla, la nostra. La
maledizione era cominciata quando Aboa se ne era andato via, questo lo sapevamo
già. Però da quel momento le catastrofi si erano mitragliate l’una dopo
l’altra: prima un tremendo maremoto, poi un abbondante terremoto, dopo una
discreta eruzione... ma queste sono state cose da poco, perché là ci sono
abituati. Il peggio è stato invece quando hanno rubato la statua di Keuiuah,
che vista dalle fotografie pareva uno sgorbio abnorme, ma alla quale loro erano
legati in maniera morbosa. Tanto ci erano affezionati che Wim, dopo dieci anni
di onorata carriera, non aveva potuto andare in ferie. Fatti i conti, con
questo ultimo dato, mi è parso logico che lui era stato il primo e unico
poliziotto straniero dell’isola, insomma un caso storico. Con tutto il lavoro
che aveva fatto, così tanto e così bene, per dieci anni, per colpa di quella
statua gli avevano negato le sue sacrosante ferie. Tra l’altro ero curioso di
sapere cosa fa in ferie un tipo come le lui, ma, anche in seguito a mia
ripetuta richiesta, Wim non me ne ha steso alcun rapporto, né orale né
tantomeno scritto, in mio onore. Intanto, mentre mia sorella cominciava a chiedere cose in giro per il suo
articolo, a fare fotografie con una sua macchinetta automatica rosa a
fiorellini azzurri, abbiamo appreso che i casi che Wim aveva risolto, non
avevano mai superato - in difficoltà e
pericolosità - il furto di un pesce per scherzo di un ragazzo a suo padre,
qualche eccessivo rutto molesto di turisti ubriachi, un cittadino Uonchese
sorpreso con uno spinello, il quale diceva che non sapeva nemmeno cos’era, lo
aveva trovato per terra e alla fine se lo sono fumato insieme, e cose di questo
genere o di minore importanza. A Uonq a parte le eruzioni e i maremoti non era
mai successo niente di niente e fare il poliziotto là era, senza inutili
eufemismi, una vera e propria vacanza nei mari del sud. Intanto, dai suoi
scaffali, avevo visto che Wim leggeva romanzi tascabili di Simenon, e più
precisamente quelli del commissario Maigret, con il quale, aveva in comune la
pipa, però, invece del tabacco, ci si fumava la marijuana.
Agnese
La festa annuale di Keuiuah, la principale dea dell’isola, è a maggio,
secondo il nostro calendario, ma il loro anno è di tredici mesi e un mese varia
dai dodici ai ventiquattro giorni. Il criterio non l’ho capito, ma credo che
sia abbastanza elastico e perciò migliore del nostro, che invece si ripete
sempre uguale con unica eccezione del 29 febbraio che salta fuori ogni tanto,
ma senza più sorprendere nessuno. Ci sono altri otto tra dei e dee, alcuni sono
dei misti di animali pelosi con pesci, serpentelli, polipi e draghi e persino
di frutti esotici... robe strane, insomma, che c’è da morire dal ridere, ma
meglio non farlo in presenza di un cittadino uonchese. Wim ci crede anche lui a
tutte queste cose, non tralasciando parallelamente di essere praticante Musulmano.
Duccio
Insomma, anche durante la festa la statua della Dea rimane sempre nel suo
apposito antro, quella che usano per la festa è di legno, più facile da portare
in processione. È subito fuori dal villaggio, sulle pendici del monte Koxolai.
Non c’è sorveglianza, non ce n’è bisogno, almeno così avevano pensato fino al
maggio scorso. Nella grotta, i giorni successivi, poi, vanno a pregare e a
chiedere miracoli e grazie. La montagna è piena di anfratti e buchi, da notare
che qui esistono solo sabbia e roccia, niente terra propriamente detta.
Il giorno dopo la grande festa, durante la quale tutti si ubriacano con una
specie di pappetta fatta di un determinato tipo di frutta fermentata chiamata
Gwala, che veramente più che un alcolico è una droga allucinogena. Il primo
fervente religioso che è andato alla grotta ha pensato di essere ancora troppo fuori
di testa e non ha creduto alle sue fosche pupille. Ci è tornato con sua moglie
che però anche lei aveva esagerato e non poteva vedere la statua, essendo
allegrotta anzichenò. Pensa che ti ripensa hanno chiamato il sacerdote che era
l’unico che non poteva bere quel frullato infernale, tornati là con lui hanno
avuto la temuta conferma: anche il sacerdote aveva alzato il proverbiale gomito,
nonostante le tassative norme locali.
Insomma quando si sono ricordati che Wim era il personaggio più credibile
dell’isola, che secondo loro non beve, perché la sua religione maomettana
glielo impedisce, lo hanno preso di forza, mentre si stava facendo una ennesima
canna e lo hanno portato là. Finalmente tornati in sé per la fatica del
trasporto, hanno avuto la certezza che la statua non c’era più. Secondo me Wim non
aveva capito nemmeno cosa stava succedendo, ma nella confusione generale era
difficile accorgersene. Tutto questo secondo il racconto di Ruantzoo, un
ragazzo amico dell’olandese che sa parlare l’italiano maccheronico come nessun
altro e quasi senza ridere. Visto che la statua originale è di pietra, sono
necessarie almeno dieci persone per trasportarla, l’unica notte in cui è
possibile rubarla è proprio quella, perché il caos regna sovrano e tutti sono
in preda ai fumi di quella pappetta fermentata che anche se vedessero qualcosa
penserebbero che si tratta di un’allucinazione o due. Ci hanno spiegato che le
feste degli altri otto dei sono cose più modeste e non c’è uso di Gwala, né di
cose che possono intorpidire i sensi della gente.
Agnese
La grotta finalmente siamo stati a visitarla: un’apertura assai stretta e
bassa, nel mezzo della fitta vegetazione, gli Uonchesi che sono bassi entrano
abbassando un poco la testa, noi dobbiamo curvarci di più, una volta dentro
diventa grandissima e di forma più o meno di uovo diviso a metà nel senso della
lunghezza. In fondo, nella parte più larga, c’era stata la statua, si vedeva
ancora il grande rettangolo della base stampato sul suolo, il terreno in
superficie è smosso perché sabbioso. Se avessero dovuto, dato il peso,
trascinarla via si sarebbe visto qualcosa per terra invece no, solo centinaia
di impronte di piedi sovrapposte. Anche farla passare dall’uscita, che per
logica coincidenza corrisponde all’entrata, non credo che sarebbe stato facile,
la base rettangolare è assai larga e alta.
Duccio
Intorno ci sono decine di grotte con le aperture molto vicine l’una
all’altra, in alcuni casi comunicanti. In una di queste, in un secondo momento,
Menegazzi si è persa ed è stata ritrovata da un cacciatore dall’altra parte
della montagna, due giorni dopo, con alcuni chili di ciccia in meno. Se i pochi
stranieri che visitano Uonq, non se li portano da dove vengono, là non ci sono
alcolici né droghe, fatta eccezione per quella robetta lì che, dicono, è anche
un formidabile afrodisiaco e a quanto pare, per legge, solo una volta all’anno
è disponibile perché il resto dei 365 giorni deve riposare e tranquillamente
fermentare.
Agnese
Le notizie per l’articolo sono tante, troppe, dovrò fare una selezione, le
persone sono molto disponibili, tutti hanno voglia di raccontare le loro cose e
anche quelle degli altri, pare che anche qua il pettegolezzo sia uno sport
molto praticato. Il peggio è che, quando parlano di argomenti di pubblico
dominio, le informazioni divergono, pare che ognuno abbia, non solo diverse
opinioni, ma anche convinzioni a volte opposte su argomenti che dovrebbero
essere oggettivi. Un po’ come in Abruzzo, ma da noi la gente parla meno.
Duccio
Ho visto molti gialli alla televisione e ho capito che il movente è molto
importante. Allora chi aveva interesse nel fare sparire la statua? Questo
aiuterebbe a trovare il colpevole, conseguentemente anche la statua, ma chi
conosce gli Uonchesi è Wim e non io. Secondo lui nessuno di qui ha motivo di
fare una cosa del genere. Quello che stupisce di più è il fatto che con tutto
quel peso la statua enorme si sia volatilizzata. La grotta in questione non
comunica con le altre lì vicine, ma hanno quasi tutte la stessa forma
semi-ovale. Qui tutti camminano scalzi, abbiamo imparato anche noi, le impronte
dei piedi sono tutte uguali sulla sabbia asciutta. L’umidità di Uonk è
piuttosto volatile e lunatica.
Agnese
Secondo me il colpevole è un individuo esterno a questa comunità, per
esempio qualcuno proveniente da qualche altra isola. O più facilmente molti
isolani. Qui non ci sono macchine né mezzi di trasporto, solo la forza delle
braccia di tanti forti pescatori potrebbero aver fatto questo... Fumando una
canna enorme con Wim il mio cervello è andato in trance e ha viaggiato
portandomi in un luogo non molto lontano da qui, seppur neanche troppo vicino, dove
anticamente è successo un fatto storico indicativo e utile per noi: l’isola di
Pasqua. Come facevano quei pazzi a spostare quei testoni enormi? Facendoli
rotolare su pali di legno. Wim ha apprezzato il parallelo, ha cercato e fatto
cercare dove si potessero trovare dei pali e alberi tagliati all’uopo.
Duccio
Se sull’isola di Pasqua hanno fatto camminare degli enormi roccioni
lavorati a forma di testa, lo hanno fatto con un procedimento elementare e
antico... rotolare dei pali sotto il grande peso. Ci siamo messi tutti alla
ricerca. L’idea di mia sorella è stata geniale, magari sta cominciando a ripigliarsi.
Forse stimolata dalle fumate con Wim, anche io ho iniziato a farmi le mie prime
e anche seconde cannette, non smettevano mai di passarmele. All’inizio non mi
facevano niente, al massimo vomitavo un po’, ma nessuna, nemmeno piccola
visione mistica e anche la respirazione delle rocce all’inizio era più stanca e
apatica, ma poi è aumentata in qualità e quantità. Insistendo nel processo,
cominciando anche a sospettare che la mia persona fosse insensibile a queste
sostanze, sono uscito in mezzo al bosco con una di queste sigarettone in bocca,
sono sceso fino al mare. La sabbia era bianca e l’acqua bassa, lo spinello si è
bagnato, ma ne avevo già fumato la metà. Sott’acqua il mondo ha cominciato a
colorarsi, l’effetto della marijuana forse ha raggiunto in quel momento il suo
zenit e mi pareva tutto bellissimo, pulsante e strano come non mi era mai
sembrato. Quando mi sono ripreso un pescatore grasso e sudato mi stava facendo
la respirazione bocca a bocca. Uno schifo necessario, va bene, ma pur sempre
uno schifo.
Agnese
Mio fratello ieri, dopo aver fumato si è buttato in mare in immersione,
come subacqueo l’unica esperienza che aveva era guardare i documentari di
Cousteau alla TV e l’hanno salvato solo per un colpo di fortuna, un pescatore
che stava passando in canoa lo ha visto andar sotto e poi non tornava più su. Non
solo Duccio è sopravvissuto, ma ha una faccia differente ora, mi sembra.
L’articolo che sto scrivendo è molto interessante, lo ha detto anche Wim. Ammetto
che ultimamente stiamo un poco esagerando con le canne, ma pare che il mio
lavoro stia andando bene e questo è quello che conta. Non possiamo sviluppare
le foto qui, e ne ho già scattate un centinaio. Sto scrivendo un articolo a
parte, anche sull’evasione, nel senso che la civiltà occidentale è alienante e
per noi vivere qua sarebbe meraviglioso. Per l’uomo moderno la fuga dal niente
prefabbricato e galoppante, dai problemi e dallo stress, indossata spesso o
quasi sempre tramite alcolici o droghe, è un surrogato più caro e meno salutare
di quello che sarebbe invece, piantare tutto e venirsene qua per qualche
decennio. Il fatto che qua si fumi marijuana, nella cornice meravigliosa di
questi paesaggi e della stupenda esperienza umana che stiamo facendo, con
questa gente serena e semplice, forse è un’esagerazione non completamente inutile,
ci aiuta ad aprire il cervello, rattrappito e atrofizzato, troppo limitato
dalle esperienze precedenti, o forse dalla loro effettiva ma dolorosa mancanza.
Duccio
Wim coltiva la sua erba da solo, ne ha un campetto pieno, il clima è assai
favorevole e siccome qui non la conosce quasi nessuno non gliela rubano, né
sanno a cosa serve. Personalmente non credevo che fumare ti portasse via a
questo modo, ti facesse volare nel mezzo di tutto quello che c’era anche prima,
ma non ci avevi fatto caso. Insomma non credevo che ti stappasse le orecchie
così, cioè in maniera più che gradevole. Come dice mia sorella il fumo ci porta
a comprendere, ad assimilare meglio questa vita, tanto differente dalla nostra
e perciò difficile ad abituarcisi, almeno all’inizio. Mi pare di non aver mai
visto il mondo così colorato e bello, mi sono anche abituato a vivere senza
televisione. Agnese è ingrassata un poco ed è veramente più bella e allegra,
anche perché scrivendo il suo articolo si sente bene e appena si ferma a
pensare Wim le infila sempre uno spinello in bocca. Wim, dentro la sua foresta
di peli e di canne, è definitivamente un uomo pregevole, forse anche quasi carismatico.
La storia si stava finalmente
mischiando con la geografia, come aveva detto la profezia, quando, due mesi
dopo, un uomo chiamato Gurfi, apparentemente per puro caso, cadde da una roccia
dentro una grotta, escoriazioni varie e un dolore forte al braccio sinistro gli
fecero vedere le stelle, almeno all’inizio, ma quando le stelle se ne andarono,
là davanti a lui c’era la statua di Keuiauh. Le indagini svolte dal perspicace
detective Wim Brokamp determinarono che dei burloni abitanti di altre isole
Olops, con ogni probabilità invidiosi della statua, avevano nascosto l’ingresso
della grotta con un mucchio di sabbia, in più piantandovi alberelli e cespugli.
In seguito avevano artefatto la forma rettangolare sul suolo dentro un’altra
grotta lì vicina, come tante altre, del tutto simile, simulandone la base della
statua scomparsa. In sintesi: uno scherzetto riuscito grazie all’ingenuità
degli Uonchesi e alla festa della dea Keuiauh, la gente allucinata era caduta
in un tranello, per fortuna loro non se la prendono mai e ci stavano già
ridendo su con un certo gusto. Si stava organizzando addirittura una festa di
ringraziamento, gli dei non erano più arrabbiati, anzi, con la venuta di Duccio
e Agnese, che intendevano stabilirsi a Uonq, il numero degli abitanti era
ripristinato e si ritornava alle regolamentari 300 unità.
L’articolo di Agnese non è stato mai spedito né pubblicato, tutto il
materiale dimenticato in un angolo. In compenso è stato stabilito che Menegazzi
è finalmente la reincarnazione di una dea felina, chissà perché caduta nell’oblio
fino a quel momento, chiamata pelosa
mangiatrice di tutto quello che si muove, in Uonchese pare che si dica Ukrr, nome onomatopeico che a noi
abruzzesi ignoranti sembrerebbe stranamente corto, per fortuna la nostra
stupida razionalità occidentale sta progressivamente scolorendo e ci stiamo
fondendo nella tipica mentalità isolana allegrotta e spensierata.
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