Alla fine della primavera e in fondo all’isola di Florianopolis, la baia di Matadeiro ci aspettava sotto una pioggia fitta e fina. Siamo arrivati di sera impacchettati in impermeabili di plastica frusciante.
Dopo una cena in un ristorante deserto ad Armação abbiamo passato il ponticello, di cemento e senza alcuna ringhiera, abbiamo seguito la stradina pure di cemento e probabilmente armato, poi abbiamo salito la scala.
Anni addietro il ponticello non c’era e l’unica opzione per raggiungere la spiaggia era rimboccarsi i pantaloni eventuali e mettere i piedoni nell’acqua, i pesci fuggivano disperati, tutte le volte che guadavo il fiume, ma ciò era possibile solo quando c’era la bassa marea, allora stavano più attenti.
Da là sopra l’abbiamo ammirata, un po’, prima di scendere... come l’avevo rivista tante volte in sogno: ubriacante di bellezza, di passato e, speravo, anche di futuro.
Ai vecchi tempi l’unica luce notturna che cadeva là era quella magica della luna e delle stelle, quando era nuvoloso la schiuma delle onde diventava fosforescente; ora invece c’erano dei fari in fila, orientati in direzione del mare, per tutta la lunghezza della spiaggia.
Maddalena aveva quel brillare negli occhi che significava entusiasmo, anche se aveva dormito poco e male.
Dalla Finlandia le avevo trasmesso per telefono una grande voglia di conoscere quel luogo, in precedenza gliene avevo parlato spesso e con sentimento. Chissà perché in tutti quegli anni non ero mai sceso fin làggiù.
Avevo viaggiato tanto, girando e girando, come una mosca senza testa... ed ecco che, improvvisamente... quanto inaspettatamente, per me e per gli altri... stavo intraprendendo quella che poteva, finalmente, essere considerata un’azione sensata: tornavo al punto di partenza.
A prima vista era solo una cosa simbolica, ma per la sola idea ero stato assai emozionato negli ultimi due mesi.
Abbiamo passato la notte nella prima pousada che abbiamo trovato. Mi pareva che nessuno mi avesse riconosciuto, c’erano pochissime persone in giro. Tra noi due c’era un’aria di pace e di allegria e tutto stava andando bene, eravamo stanchi per il viaggio e non ho bevuto nemmeno troppo.
Mi sono anche addormentato ragionevolmente presto: verso le tre.
Considerazioni generali
La mia insonnia era leggermente degenerata, negli ultimi anni, pure quando ero molto stanco, la mia mente, al buio, partiva per viaggi interminabili sugli sconfinati altopiani del pensiero.
Scrivevo senza orari fissi, quando mi veniva, un po’ come andare in bagno, o fare merenda, la mia ispirazione nasceva spesso da una necessità fisica.
Se non riuscivo a dormire, scrivevo o bevevo, o tutt’e due le cose allo stesso tempo. Scrivere era l’unica cosa seria che facevo e a dire il vero non era nemmeno troppo seria. Scrivevo tante stupidaggini solo per il piacere di riderci da solo, o magari per farle leggere a Maddalena. Mettevo giù le parole senza rendermene conto, lo facevo quando ne sentivo voglia, ma a volte era più un bisogno, mi poteva capitare in qualsiasi momento.
Quando Maddalena dormiva e non avevo a disposizione altre stanze, mi sentivo in trappola. Nelle nostre notti in hotel, per fare meno rumore scrivevo a penna su dei grandi album da disegno, facevo delle lettere enormi che così era più facile da leggere a distanza, il giorno dopo, appoggiando i quadernoni ad una bottiglia o due, per copiare quello che era da salvare sulla memoria del mio computerino da viaggio.
La mia era una vocazione un po’ alimentata dai nervi, era spesso per sfogarmi che mi mettevo all’opera. Non somigliavo alla maggior parte degli autori che scrivevano per lavoro. Per me, ogni giorno di più, quello era necessario come mangiare o bere, non provavo a non scrivere per un giorno intero, da molti anni.
Dovunque mi trovassi scaricavo le mie parole, su qualsiasi materiale avessi a disposizione. Il pensiero che non potevo, solo per alcune ore, era insopportabile, ma questo non succedeva mai o quasi... scrivevo in aereo, in barca, nella fila della banca, al supermercato e al ristorante.
Allora, inevitabilmente, tiravo giù un numero infinito di idee balorde, di cui una percentuale minima diventava materiale utilizzabile. A riguardo questa era la mia idea: anche la peggiore stupidaggine vale la pena di essere scritta se ti sta ronzando nel cervello, quello che conta è vedersela di fronte, anche se solo per metterla da parte, è una maniera per mantenere uno stile, allenandosi a scrivere cose di poco conto, così, tra tante cazzate1, le idee buone sorgono naturali, dopo si possono scegliere, selezionare.
Non lo dico per vantarmi, ma Zandonà, il mio editore, non aveva mai avuto bisogno di forzarmi per ottenere nuovi manoscritti. Alcune volte, sembra incredibile, aveva dovuto invece frenare la mia prolificità.
Non voleva inflazionare il mercato, diceva.
Maddalena era molto gentile con me, non mi amava perché ero un genio, nessuno quanto lei sapeva che non lo ero. Avevo grandi difficoltà a mettere in pratica la filosofia di cui mi riempivo le mani nelle mie pagine, come se per me ogni problema fosse risolto. Sapeva, purtroppo molto bene, che la vita per me era vissuta secondo per secondo, per questo, spesso, era troppo dolorosa.
Il dolore era soprattutto la fatica di passare dentro al mio filtro interno tutto quello che succedeva attorno, più quello che m’immaginavo a riguardo. La condanna alla sensibilità assoluta diventava una benedizione però quando le cose mi piacevano, quando l’ambiente faceva quella che per me era la sua funzione: cioè di avvolgere il tutto come una nebbiolina di sogno, di tramutare le cose ordinarie e anche di routine in qualcosa di magico, era questo che cercavo e trovavo - ragionevolmente spesso - nelle mie giornate estenuanti, fatte di continue prove di vita e di morte.
Il giorno dopo
La mattina dopo il sole splendeva e abbiamo fatto colazione con papaye e manghi, cracker imburrati, caffè nero e succo di arancia. Maddalena era in gran forma, avevamo passato quasi due mesi senza vederci, io in Europa e lei a casa di sua sorella a Ciudad Oyeda, in Venezuela. Per quanto incredibile mi paresse, ogni volta, aveva una enorme e gioiosa voglia di stare con me, ed io, ma questo non era una sorpresa, di stare con lei.
La camera era tutta di legno e molto luminosa, i raggi di sole entravano e scaldavano l’aria. Completamente nuda nella sua liscia pelle scura da mulatta sassarese2, con eccezione di un vecchio orologio d’oro al polso, che non si toglieva mai... o, diciamo, solo in caso di bagno, Maddalena mi aveva attaccato da subito, appena messo il mio piede quarantacinque sul tappeto.
“Mario, vieni qua bellino! Vieni che ti vesto... prima di tutto questa ‘mutanda’ è macchiata, non fingere di non sapere dove... al solito posticino... mettiti questa a fiorellini che così sembrerai quasi umano... pooooi... oggi ti metti questi bermuda. Lo so che non ti piacciono... lo so, lo sooo... se non lo sapessi avresti ragione, ma visto che lo so...
Ma! Smettila subito!!
Fai il bravo piccino3, ricordati che sei quasi novanta chili... come dice il filosofo: la praticità prima di tutto... niente è troppo stupido per gli occhi del filosofo, e, se vuoi andare a cercare casa, devi sacrificarti... su da bravo...”
La vocetta di Maddalena era più sottile quando faceva la stupidina, questo accadeva quasi sempre, se non c’erano estranei lì vicino... in maniera più argentina e squillante la mattina, dopo che aveva svolto il magico rito di lavarsi la faccia, o meglio, il viso. Quel viso che per me era tenero e dolce, stupendo, ancora e più di prima, sfidando quasi sette anni di convivenza.
“Va bene, oggi farò tutto quello che dici, ma domani... beh, domani anche... ma-ma... ma oggi lo farò senza protestare, ecco. Diciamo: per il mio diritto al libero arbitrio.”
La mia bella continuava a vestirmi ignorando le mie parole, mi guardava ogni tanto con l’amore con cui si guarda un bambino che balbetta le prime sillabe.
“Del resto, le donne, come disse Bukowsky, sono animali assai semplici, ma posseggono, per natura, una determinazione tale che generalmente hanno la meglio su noi, disgraziati uomini.
Triste ma vero, sissignora.”
“Bravo. Puoi venire fuori con le ciabatte oggi. Le ‘havaiane’. Ti do il permesso io, oltretutto nessuno ti ha riconosciuto, no? Puoi rilassarti qua, scommetto che nessuno tra Armação e Matadeiro ha mai letto un libro... dici di no?”
Continuavo come se niente fosse con il mio discorso, ma avevo capito bene quello che aveva detto. Dentro di me pensavo che qualche ‘rompicoglioni4’, magari di S.Paolo, che stava là per le ferie, qualche ‘cagacazzo4’ lo avrei trovato... anzi mi avrebbe trovato lui, o peggio se fosse stata ‘lei’, una femminista e stressata al massimo, allora sì, che mi sarei sentito di nuovo a casa!
“Tanto lo so che non ho scelta, a Roma mi hanno detto che ero lo scrittore più malvestito del mondo... è chiaro! Che scoperta! Tu non stavi là a mettermi i pannolini, a farmi il nodo alla cravatta... come faccio io a mettermi in mano di gente che è abituata a coprire le spoglie di ex-umani, che non s’interessano più di se stessi? No! Mille volte no! Mi vesto da solo, anche male, lo ammetto... ma almeno mantengo la mia umiltà, le mie origini, sono o non sono un ragazzo di campagna?
Anzi, ti dirò di più: se lo vuoi sapere ho fatto tutta la Svezia con la stessa ‘mutanda’, come dici te e nessuno lo ha saputo. Il fatto è che là non si suda, sì, certo, qualche scorreggetta 5, come sempre, ma del tutto innocenti ed asettiche, lo giuro.”
Ora Maddalena sorrideva e mi guardava strizzando gli occhi, cercando di prendere la mia figura d’assieme. In quello sguardo c’era tutto il suo amore, che non mi pareva proporzionato al mio valore. Tutto questo mi faceva stare molto bene, troppo bene, allora cominciavo a pensare di perderla. Mi guardava e mi rimirava a tre metri di distanza, sorridendo e pensando, forse, alla mia grande figura di grande scrittore, che in fondo ero appena un bambino, simpatico e rompiscatole6, un po’ complicato... ma amabile, speravo.
“Così va bene, belloccio! Vieni, guardati allo specchio, che te ne pare di questa camicetta a fiori, ha lo stesso disegno della mutanda, non è una sciccheria?”
La camicetta a maniche corte era bella e fresca, mi pareva ideale con quei bermuda cachi stile militare, da solo non avrei mai raggiunto quel livello di ‘casual-chic’. Ho preso il mio immancabile gilè7 da pescatore, tutto tasche e ganci e me lo sono messo, ha rovinato un poco l’eleganza, ma lei sapeva che non potevo uscire, là in campagna, senza quello, era la mia versione di borsa. Ha riso, scuotendo lievemente la testa. Ed io continuavo a sparlare8:
“Come dovrebbe essere, secondo te, il nostro nido? Che te ne pare di una cosa tutta di paglia... no, meglio solo il tetto... ci deve essere una bella vista, questo è basilare, non ti pare ‘bellagioia’?”
“Se lo vuoi sapere... se lo vuoi proprio sapere, proprio-proprio... sapere-sapere... la mia idea di nido è quella di nido con terrazzo, pieno di fiori intorno e la vista, che ne so... come è che potremmo accettare di comprare una casa là, nel mezzo del paradiso senza una grandiosa scena estemporanea di onde, gabbiani, isolette e barche e tutto ciò di cui abbiamo diritto, non solo perché paghiamo, ma anche perché...”
E qui l’ho interrotta entusiasta:
“... anche perché se non è così non ci piace e la costruiamo noi una casa con cazzi e controcazzi9, te lo dico io, lasciatelo dire: una fottuta10 casetta per la nostra vecchiaia, anche se per te è ancora lontana, la mia in compenso è avanzata e puoi prenderne un po’ e portartela dietro, solo per aiutarmi eccetera eccetera... ”
Ora mi guardava con interesse di tipo accademico, da seduta, su una poltrona che stavo notando per la prima volta, anche se credo che ci fosse sempre stata, da quando eravamo entrati là dentro, la notte precedente. Personalmente, amo le poltrone, ma non riesco ad usarle, sono scomode, qualsiasi cosa ne dicano, là sopra ci si scrive male.
Maddalena ora stava cominciando a vestire il suo di corpo, un po’ ingrassatello per la verità, ma sempre un signor corpo di donna trentenne. Niente a che fare col mio di enorme salsiccia barbuta, una specie di babbo natale brizzolato11, di malumore, in borghese.
In quel momento però l’umore era buono, ero felice di essere lì, ero momentaneamente realizzato, come quasi mai mi riusciva di sentirmi. Ecco che la sua bocca carnosa si apriva come d’incanto e uscivano parole che avevano magicamente a che fare l’una con l’altra, seguivano una fottuta logica! Ecco una donna che può soddisfare ognuno dei due lati di una salsiccia!
“Ti ricordi quando volevi vivere in una barca a vela? Avevi tutto quell’entusiasmo dannato che hai adesso... poi provammo quella di Carlo e Marlene e decisamente... il mal di mare, la noia quando non si vedeva terra, il fatto che non riuscivi a scrivere per via delle onde... insomma... sei sicuro che accetterai l’amicizia delle lucertole e delle zanzare? Le canzonette un po’ ossessive dei grilli? Il cicalare cicaleggiante delle cicale?”
Nonostante la poesia di quelle frasi, il loro contenuto mi ha fatto indignare o quasi, soprattutto perché ero conscio della verità nascosta in quelle parole. Ho replicato, è chiaro, alzando la voce insieme al dito verso il cielo, che in quel momento era marroncino perché rappresentato da un soffitto di legno di pino. Ho recitato la figura onnipotente di Dio, anche se dentro di me con poca convinzione:
“Donna, porco cane, per tua norma e regola io ho vissuto nella giungla e nel deserto... sono passato attraverso monsoni e tempeste di neve!”
E dopo aver preso fiato:
“Ebbene sì, son passato attraverso varie malattie, di cui alcune mortali o quasi, ma pensi sul serio che una casetta nel paradiso terrestre potrebbe scoraggiarmi? Solo per via di qualche bestiolina molesta, che si approfittasse eventualmente della mia nobiltà?”
Maddalena se la rideva scuotendo la testa, era quasi pronta, mancavano ancora le scarpe, forse non si sarebbe truccata quel giorno, speravo di no.
Cercando casa
La giornata era magnifica, era quasi estate e gli uccellini cantavano a squarciagola12 la loro gioia, in una scena tra il bucolico e il marinaro, noi camminavamo di qua e di là, Maddalena fotografava senza posa, con la sua piccolissima tascabile: casette e paesaggi, fiori e personaggi tipici che passavano di lì per caso, ma non troppo; gabbiani e barche, colline che parevano montagne in ferie e mare e onde, come se tutto fosse lì per caso, una roba fenomenale, anche perché il caso non esisteva.
Non esiste?
Abbiamo trovato la casa quasi subito, solo che il proprietario non voleva venderla, voleva affittarla, era un testardo baffuto, non voleva saperne di soldi e per lui quello che contava era complicare la nostra vita.
Un uomo antipatico e chiuso, una bestia di un calabrese, ho pensato... e mi è parso anche esageratamente deciso nelle sue faccende, al momento.
Poi, pensandoci bene, dall’altro lato, aveva tutto il diritto di esserlo, non si faceva comprare... e basta.
La casa era però, purtroppo, esattamente come Maddalena aveva sognato, per me andavano bene quasi tutte, almeno in quel luogo paradisiaco. Ma lei voleva quella, il signor Calò non voleva saperne di storie, io non volevo raccontargliene. Andammo allora in giro e le vedemmo tutte, fortunatamente non erano più di quaranta.
Stavo cominciando a diventare impaziente.
Il rispetto per la mia dolce compagna mi ha indotto, però, bestemmiando sottovoce, a sopportare quella sua decisione... purtroppo irrevocabile.
Quel giorno si erano incontrati due degli esseri più testardi del globo terracqueo; il terzo, in successione, ero io, ma visto che lo sapevo, mi ero messo da parte.
Mi sentivo impotente, di fronte a tanta mancanza di elasticità, non potevo dire niente, ero rassegnato. Quello e solo quello poteva essere il nostro nido, la tana dello scrittore, il paradiso della pittrice. Tutte queste cose insieme, è vero, prevedevano una scelta accurata, dall’altro lato... ci si stava dimenticando che un illustre genio creativo scalpitava13, aveva fretta di cominciare e non riusciva ad ispirarsi in un piccolo appartamento di pousada.
Siamo tornati ad Armação con la coda tra le gambe, senza parlare ed esausti.
La Compagnia del Mare
Mi sono infilato, più velocemente che potevo, nella Companhia do Mar, ristorantino di fronte alla pousada e con la spiaggia di Armação dall’altro lato: un lastrico di mattoni con una decina di tavoli, con una vista romantica. Un posticino tentatore.
Maddalena mi ha seguito, solo per protestare, sapeva che cosa avevo in mente, ma ho fatto in tempo a chiedere una caipirinha, senza permetterle d’influire minimamente sulla mia decisione.
Lei, con aria, se possibile allo stesso tempo, rassegnata e rabbiosa, ha ordinato un guarana diet. Ederson era il proprietario, oltre che un simpatico brasiliano sudista di frontiera; metteva alcune parole spagnole in mezzo alle sue numerose frasi e sapeva ascoltare un cliente mentre lavorava di gomito14, anche lui, come me, bisognoso di calore umano.
Perfetto.
Maddalena è scomparsa dopo pochi minuti. Non prima di avermi minacciato che, se mi fossi tuffato15 nell’alcool, come l’ultima volta a Caracas, se ne sarebbe tornata da sua sorella. Quella conversazione con quell’affabile gaùcho de fronteira, però mi stava rinfrancando, a volte basta poco per fare un uomo contento.
Maddalena in certi momenti assumeva le sembianze di una stizzosa zitella16 e in quei momenti lì sapeva che era meglio togliersi di torno17. A dire il vero non ho mai capito, in maniera completa, se lei capiva di essere di troppo o se invece non sopportava la mia reazione alla sua ira impotente. Che era il riempirmi ancora di più e meglio, di lubrificanti sociali.
Senza alcuna introduzione all’argomento, Ederson mi ha riferito che aveva due case ‘graziose’ da vendere ad Armação. Avevo notato che tutti là si facevano pubblicità, già nelle prime fasi, di un dialogo con uno straniero, specie se considerato danaroso. Non mi ha stupito più di tanto allora che parlasse di prezzi e affitti, di lavoro diminuito con la crisi del Real, che era la moneta di quel tempo in Brasile. Però non avevo e non ho l’abitudine di confidare i miei intimi pensieri ad un estraneo, preferisco pensarci su ed elaborarli, prima... e poi vendergli un bel libro, magari con autografo.
Continuavo allora a parlare, in maniera enfatica, della bellezza della natura di Florianopolis che, per quanto a lui non interessasse per niente, lo considerava argomento favorevole per vendere la sua merce. Ederson aveva una larga gamma di frasi fatte. Molto raffinato, devo dire, nel mantenere una conversazione, intramezzava, ogni tanto particolari tecnici di suo interesse che non guastavano la scena. Mi piaceva il suo stile perché si vedeva che si gustava anche quello scambio di frasi, ma già che c’era ci metteva qualche cosettina che poteva portare alla conclusione di un affare.
Nel mezzo della terza caipirinha, mi pare, mentre lui chiacchierando con pace e serenità con me, unico e sconosciuto cliente seduto al banco, serviva alcune bibite che un giovane cameriere avrebbe portato ai tavoli... una notizia, apparsa come d’incanto nel caotico ordine della nostra conversazione, ha colpito la mia mente, non ancora sufficientemente ottenebrata18 dalla cachaça. Ho ordinato prontamente un piatto di patate fritte, tanto per riequilibrarmi... e ho chiesto delucidazioni.
“Sì, signor Sompe, Aldo è il miglior sensale19 di Armação, anche perché è l’unico. Vale a dire l’unico che vive solo di questo. Tanto per darle un’idea anch’io ho comprato questo ristorante con il suo aiuto, un aiuto caro, intendiamoci, ma alla fine ne vale la pena. Eppoi credo che questo non sia un problema per lei... qual è la sua attività? Se non sono troppo indiscreto, naturalmente.”
“Letteratura moderna. Ma lei conosce il signor Calò?”
Non aveva capito bene da quale tipo di affari io tirassi fuori il denaro per vivere, ma era esattamente quello che volevo. La sua risposta, a causa di una piccola riflessione a riguardo, è tardata un poco ma è arrivata:
“Ah, quello è un osso di balena... non ci si può parlare, un italiano strano, uno che odia il mondo! Ma Aldo non è nato ieri20, lei non immagina neppure che tipo da sbarco21 che è, un italiano come lei, ma differente... il mondo è pieno di italiani, ma sono tutti diversi uno dall’altro! Aldo, per esempio è uno di quelli che hanno attraversato incolumi mille battaglie! Lo vuol conoscere? Le dò l’indirizzo... o meglio, ora che mi viene in mente... se può aspettare un poco vedrà che arriva, viene sempre a farsi una cachaça di alambicco, più o meno verso le sette.”
Aldo il sensale
Mancavano quindici minuti alle diciannove e le mie patatine erano probabilmente già in padella, ho ordinato anche una birra e mi sono messo ad un tavolo là fuori. Volevo segnarmi sul taccuino piccolo l’espressione ‘osso de baleia’, che voleva dire quello che in italiano era ‘osso duro da rodere’. Lo strano era che avevo già scritto un libro, con il titolo ‘Ossi di balena’, ma ignorandone del tutto questo significato metaforico.
Subito dopo ho preso il cellulare e ho telefonato a Maddalena, ma il suo era spento, stava dormendo già, o ci stava provando. Meglio così.
Ho conosciuto da solo, allora, il maggior esperto di scienze e pratiche immobiliarie della baia, oppure l’unico. La sicurezza che mi ha trasmesso è stata quasi nulla, era un toscano inespressivo, al limite del ridicolo, ma l’ho contrattato. Non avevo niente da perdere e quello era il primo sensale che avevo conosciuto in cinquantanove anni di onorata carriera di abitante del mondo, cioè non avevo nessun metro di paragone.
Si è dimostrato efficiente almeno in questo, ha terminato la sua aguardente de alambique in cinque minuti, in quel lasso di tempo avevamo stabilito il patto tra di noi, aveva sparato la sua cifra che io avevo accettato, (anche se probabilmente inarcando le sopracciglia,) mi ha salutato e se ne è andato subito, zoppicando, a cercare il signor Calò, sul quale non aveva fatto commenti, solo che lo conosceva.
Ederson si è dimostrato contento del nostro incontro e mi ha offerto una caipirinha come bicchiere della staffa22. Ne ho bevute altre cinque prima di perdere il conto e la memoria, scribacchiando annotazioni (alcune delle quali non le ho più potute leggere, per causa della calligrafia ubriaca) sul taccuino da passeggio, un po’ più grande di quello tascabile, ma anche esso a quadrettini e infilato in una delle tante tasche del mio gilè da pescatore.
Sorpresa!
La mattina Maddalena era arrabbiata con me, come era logico aspettarsi, se ne era andata senza svegliarmi, o forse ci aveva provato, ma non c’era riuscita. Alle undici e venti, quando mi sono alzato, se l’era già scappata, mi sono buttato sotto la doccia fredda e una volta asciugato, soffiando e sbuffando come un rimorchiatore23, vestitomi sommariamente, sono sceso al bar per la colazione. Nella pousada servivano il ‘café da manha’ fino alle dieci. Dopo alcuni minuti al tavolo, sorseggiando un pessimo cafezinho e mordicchiando biscotti casalinghi preistorici, nella nebbia del dopo-sbornia24, sullo sfondo di una parete di un verde assurdo, con un unico e pessimo affresco raffigurante un paesaggio marino, o una guerra interstellare... mi sono ricordato di una scena che pareva da film: il signor Aldo, italiano ed ex baleniere, era arrivato al ristorante camminando spedito e ne era uscito zoppicando, imitando forse il capitano Achab, nemico mortale di Moby Dick, la balena bianca.
Non ero sicuro che fosse andata proprio così, ma tutto ciò mi ha riportato a quel personaggio basso, dalle gambe arcuate che in mezzo ci passava un tonno a marcia indietro25. Un toscanaccio dai capelli lunghi e riccioluti, bianchi e e neri, di forse una settantina d’anni, ma potevano anche essere non più di cinquanta.
La sua faccia era rugosa e abbronzata, un ‘totem’ completamente inespressivo, i suoi occhiali da sole facevano pensare ad un mafioso; vestiva pantaloni lunghi marrone scuro di tessuto leggero e una camicia bianca a maniche lunghe, immacolata, con quel colletto alto un po’ fuori moda e perfettamente stirata; stivaletti di pelle morbida, neri e lucidi. Un fenomeno, visto che sulla spiaggia, nessuno, almeno in quell’epoca, si azzardava a seguire una tale scomoda eleganza di stampo antico e dubbio gusto.
Comunque, appena recuperate le forze, ho telefonato a Maddalena:
“Pronto, amore?”
“Amore un accidente. Non sono tornata da mia sorella solo per curiosità, in fondo, se stiamo ancora insieme, è principalmente per questo. A che ora ti sei alzato?”
“Mmmm. È già un’oretta o due, dove sei localizzabile, fiorellino di primavera?”
“Se ti sei alzato prima di mezz’ora fa mi caschino le tette! Va bene, lasciamo perdere. Sono qua a casa del signor Calò e...”
“Ah sì, è vero! Aspetta... volevo dirti che ieri sera...”
“Al diavolo ieri sera! Quello che devo dirti è più importante della tua cachaça e dei tuoi discorsi da ubriacone. Stai zitto e lasciami parlare!”
Quando lei si trovava in quel pacato stato d’animo l’unica mia via d’uscita era non contrariarla. Mi ripetevo che la sua rabbia era per mia causa ed ammettevo i miei peccati, cominciando direttamente a scontarne la pena. A volte in poche ore le passava, gradualmente, ma dovevo impegnarmi al massimo per non fare errori nello scorrere di quel tempo, sennò ricominciava tutto dall’inizio, o peggio. Mi sono silenziato, così, senza rancore, ho aperto bene le orecchie, sapevo che ne sarebbe valsa la pena.
“Molto bene, braaaavo. Vedi, che quando vuoi, sei un bravo ragazzo?”
Un sospiro profondo, una pausa per provocare, forse, per vedere se ero disposto alla penitenza e poi ha ripreso:
“Beh, non ci crederai ma il signor Calò, ha cambiato idea e ci venderà la casa. Il prezzo è quello che avevo proposto io, ieri, in un certo senso è incredibile.”
Ho fatto un fischio, e le mie orecchie, mi pare, hanno cominciato a sbattere come ali al vento, vi ricordate quell’elefantino volante dei cartoni animati?
La casetta
Ci siamo stabiliti là in pochi giorni, le condizioni generali della casetta erano buone a parte i tarli che, molto più attivi e rapidi che altrove, rodevano da sempre il legno delle case e di conseguenza, con esso, l’anima dei brasiliani. Non abbiamo fatto restauri, Maddalena ha fatto venire da San Paolo le sue cose più necessarie, ha piantato dei fiori, ha messo delle tendine ed io ero già al lavoro.
La Balena Rosa
Avevo cominciato, all’epoca il mio più alto librone, che avevo quasi deciso di chiamare ‘La balena rosa’, là dentro parlavo delle donne e tentavo di essere fedele a tutto quello che ne pensavo, a costo di sfidare femministe e maschilisti allo stesso tempo. La storia di una donna molto grassa che dopo essere stata oggetto di scherzi di cattivo gusto per le sue misure inusuali, era riuscita a dimagrire tanto e così bene da raggiungere un’apparenza di femmina fatale e bellissima. Dopo pochi anni di quella vita aveva deciso che, tutto sommato, era meglio essere una balena e detto fatto...
Il successo, visto dall’altra parte...
Il peggio di tutto era che Mario Sompe si era stancato del successo, o meglio di quel tipo di successo, quella gloria vana che sapeva di aver raggiunto solo per l’astuzia ipocrita, di dare al popolo borghese del mondo un pane che costasse poco e non lo facesse veramente stare bene, ma che più che altro lo facesse diventare dipendente da quel tipo specifico di pane, tanto da non poterne più mangiare un altro.
Ero senza dubbio un fenomeno sociale, le indagini di mercato dicevano che non solo i miei lettori leggevano quasi esclusivamente i miei libri, ma che se leggevano altre opere, prediligevano i miei imitatori, cioè quelli, che approfittando della mia geniale scoperta di poter plagiare i lettori all’interno dei loro più intimi pensieri, sfruttavano la corrente della moda, copiando il mio stile e la mia pretesa filosofia sociale.
Tra tutti si distingueva un italo-australiano, Peter Macaluso, che addirittura si permetteva di prendersi iniziative napoletane, come quella di rivelare dogmi e misteri che deliberatamente avevo lasciato semiaperti, o quasi chiusi, per far intravedere una fantomatica ‘importantissima’ verità, per far ‘riflettere’ le persone. Il suo ultimissimo ‘Interpretazione pratica dei sogni di un cittadino’, che s’infilava senza alcuna vergogna nei miei manoscritti, aveva venduto quasi come i miei bestesellers!
Me lo me meritavo?
Forse sì.
Uno che rubacchia le idee alla gente non può, e non solo per motivi di etica, denunciare di essere stato derubato a sua volta. Un altro al posto mio se ne sarebbe fregato26, avrebbe intascato i soldi e avrebbe forse messo un altro o anche due mezzi scrittori a scrivere al posto suo, come tanti fanno.
Bene, anzi: male! Quello che mi faceva pensare, però, che ancora esisteva una uscita era proprio questo: il fatto cioè che mi sforzavo e che volevo ancora, come sempre, essere una buona persona e proiettare la mia personalità nel mio lavoro di scrittore. Non accettavo che gli altri mi dicessero che ero il migliore, volevo solo essere decente secondo la mia stessa opinione, dopo avrei, eventualmente, preso sul serio anche i complimenti, avrei perfino capito che così era più difficile riceverne.
Non avrei potuto, invece, andare in pensione?
Avevo tutto quello che un uomo poteva desiderare, una donna che mi amava e che io amavo ancora di più, avrei potuto fare un figlio o due, o magari tre, che ne so? Comprare una casa editrice, sovvenzionare nuovi talenti, ce ne erano tante di cose da fare!
Dicono che gli italiani sono i più testardi del mondo, c’è un fondo di verità, anche se i tedeschi sono avversari implacabili. La mia famiglia era stata una scuola disciplinatissima, ricordo che rivaleggiava coi vicini per durezza e rigidità, in generale, ma prima di tutto sui soldi, che oltre ad essere pochi, non si spendevano, per nessun motivo.
I liguri27 hanno sempre avuto una vita dura, la loro regione è la più difficile, dal punto di vista agricolo, in Italia, non esistono pianure e la poca terra è piena di sassi; la vita del marinaio non è uno scherzo, allora il denaro, per tradizione, si mette da parte per i giorni più difficili, che se poi non arrivano mai, meglio ancora, ma di solito, un giorno o l’altro eccoli che sbarcano.
Il ritorno, un anno dopo
Era passato quasi un anno, ‘La Balena rosa’ stava vendendo come gli ultimi libri, niente era cambiato, nemmeno il parere di Arrigo. Forse mi piaceva un po’ di più, questa ultima mia opera, forse perché aveva scatenato un finimondo di polemiche, cosa che mi faceva pensare ad una maggiore onestà, ma poteva anche essere considerata sensazionalismo.
La Praia di Matadeiro era il luogo ideale per scrivere, la mia intenzione era di rimanerci qualche mese ogni tanto, per far nascere la mia ispirazione in un luogo sano, un posto che non aveva le caratteristiche viziate dallo stress della metropoli. Ero tornato là con Maddalena, dopo aver ultimato la promozione dell’ultimo libro, cominciavo a lavorare sul prossimo, avevo troppe idee in testa e volevo cominciare a selezionare la montagna di materiale da cui volevo partire.
Era dicembre e l’estate stava per cominciare, ero contento di essere lì, ogni tanto pensavo che avrei voluto abitarci, ma era un po’ troppo lontano da tutto, era un passo scomodo da fare... le solite ragioni che ci creiamo per pigrizia.
Avrei potuto fregarmene, mettere su un computer, collegarmi all’internet, ma d’inverno là era freddo e pensavo che diventasse assai più triste che San Paolo. Ero abituato a certi volgari e raffinati passatempi cittadini come il cinema e il teatro, ogni tanto dovevo apparire in pubblico da qualche parte nel mondo, sapete com’è. Anche Maddalena preferiva stare là qualche mesetto, ma non sempre, diciamo per ragioni di spazio e di tempo, quello era il luogo alternativo, la base nascosta, il rifugio numero due.
Non scrivevo mai niente di buono d’inverno, mi veniva fuori una roba malinconica, anche quando me ne andavo in un luogo tropicale, non serviva a niente. Avevo un archivio pieno di dischetti su cose invernali, lo tenevo in ordine perché non si sa mai... a volte, raramente, usciva anche di là un’idea buona, o che dava origine ad un’altra scintilla di creatività. Il mio archivio, strano a dirsi, prendeva come primo punto di riferimento le stagioni, visto che era possibile sapere, dal fatto che una cosa fosse stata scritta in primavera o in autunno, se era riflessione pura o auto-commiserazione. D’accordo, le differenze non erano così nette, ma le tendenze ben riconoscibili, almeno per me.
Il fatto è che ho bisogno del variare delle stagioni, sono nato e cresciuto a Portovenere, dove avevo l’abitudine di vivere in una maniera quando era freddo ed in un’altra quando era caldo, le mezze stagioni rendevano i passaggi meno bruschi e così via.
Balene Franche
Quasi in fondo alla spiaggia di Matadeiro avevamo la nostra brava casetta di legno, abitata a tempo pieno dai tarli, alcune tarantole, topi ed altri animaletti occasionali che con la massima naturalezza, solo perché originari del luogo, s’impadronivano del nostro spazio come se fosse loro, o forse era il contrario? Un bel terrazzo dove stendevamo le nostre amache28, la vista sul mare era importante e aveva il potere di tranquillizzarci, anche se avevamo dovuto tagliare le cime di alcuni alberi che erano diventati troppo alti per lasciar passare i nostri sguardi assetati di onde e barche, d’orizzonti lisci o appena ondulati.
Lassù, sul piede della montagna, in mezzo al volteggiare di grandi farfalle colorate, al rumorio di vari e piccoli esseri boschivi, tra gli alberi di castanheira e i mucchietti verde-marrone lasciati dai cavalli che pascolavano per mantenere l’erba bassa, mia moglie si riposava e dipingeva un po’ meno... ma con uno stile completamente differente, che forse non vendeva molto, ma che lei apprezzava di più.
Il suo modo di vedere il mondo tornava alla concretezza reale di paesaggi sognanti, perdeva gradualmente la sua energia piena di contrasti della metropoli della fine del secondo millennio, per ritrovare l’armonia più piacevole della rappresentazione della natura, del mare, i pescatori e le loro barche colorate e le balene, le balene ‘Franche’ che erano caratteristica della zona.
La Praia di Matadeiro ha questo nome perché, quando in Brasile era ancora permesso, là si matava un gran numero di cetacei di quel tipo. Lungo il litorale sud dello stato di S.Catarina, la balena Franca va ancora a riprodursi e... già che c’è, visita i cimiteri, dove è facile vedere i grandi ossi di tante antenate morte, principalmente a causa del famoso olio, dai molteplici usi e con il quale, non so come, le costruzioni diventavano fortezze indistruttibili.
Anche se Maddalena non le aveva mai viste bene, se le immaginava in una certa maniera e le sapeva fare sempre più romantiche e sognanti, con occhi intelligenti ed ammiccanti29, con una gioia di vivere saggia di mammiferone ataviche... ma ancora un po’ bambine.
Di notte il rumore dell’Atlantico batteva sotto il cuscino, risuonava nel pavimento... come se la spiaggia e la nostra casa fossero stati parte di una unica ed enorme lastra di pietra. Su quella distesa di sabbia appena incurvata e color mostarda, in mezzo a colline che salivano verso il cielo ripide quasi come montagne, si componevano sempre delle belle onde, onde degne di rispetto per la loro grandezza, per la loro forza.
Quel mare non l’avevo mai visto calmo... solamente una volta, prima del mio ritorno in loco, l’avevo sognato liscio come un olio... e con una balena arenata là nel mezzo, di fronte all’entrata in mare del ruscello che scorreva adesso un po’ di sbieco sotto casa.
Se quel sogno significava qualcosa, non sapevo che cosa. Credevo che avesse a che fare com la mia abulia, la mia pigrizia ed incompetenza, la mia incapacità di cambiare le cose in meglio.
Bottiglie
Ogni scrittore che si rispetti beve di pari passo con quello che scrive, questa è una mia teoria che amo dibattere con chiunque abbia la pazienza e lo stomaco di farlo, preferibilmente seduti di fronte ad una bottiglia, o più di una, di vino ligure.
Ammetto però che ognuno ha la sua misura e la mia di quei tempi, a volte era impossibile, anche per i miei stessi principi liberali. Maddalena amava il vino rosso, a volte gliene mandavano una cassa dalla Sardegna, un vinaccio forte e buono come la terra ed il sole... ma a lei un bicchiere bastava, raramente passava i due consecutivi, quasi mai i tre. Lo so esattamente, perché ci stavo attento, speravo sempre che lei esagerasse un poco insieme a me, ma lei voleva essere un esenmpio, forse, o forse non le piaceva veramente.
La sera a cena, una buona bottiglia era coreografia necessaria tra le sue candele colorate, con le fiammelle che si torcevano nella brezza che entrava dalla porta aperta, le ombre si muovevano, mentre le zanzare ballavano la loro danza di sangue sulle nostre caviglie...
Tutti sanno, che io posso stare mesi senza bere, (per quanto non sia mia abitudine, diciamo per una specie d’istinto di conservazione), ma quando comincio non riesco a smettere. A quei tempi però era peggio di ora. Bevevo di tutto e tutto insieme, il giorno dopo, a volte, stavo da bestia e scrivevo cose orribili, di cui mi sarei vergognato, a pubblicarle... ma ero anche contento che se ne uscissero tutte insieme e che le potessi distruggere, poi, o archiviare, con una fatica minore che trasportarle e mantenerle calme e nascoste dentro di me.
Pure questa era una cosa necessaria, affinché capissi ed avessi ben presente, in ogni momento, quanto il mondo poteva essere doloroso o soave, tragico e comico, aspro e dolce... dipendeva da noi, dalle nostre scelte, dalle nostre abitudini, ma anche da una bottiglia di Brunello30 ricevuta in regalo, da una buona compagnia, da un luogo che aveva il potere di farti sentire più giovane o più vivo, da una bella frase uscita dalla penna come d’incanto.
Riflessioni spazio-tempo
Quello che avevo cercato, dai tempi dei miei primi passi di autore, era di ritrovare la realtà che c’era in me stesso e non sapevo più esprimere, senza quasi esserci mai riuscito come volevo. Per tutti quegli anni avevo scelto temi che mi erano cari... è vero, ma li avevo svolti come se fosse stato un altro a farlo: un figlio di puttana che prevedeva e seguiva i desideri della critica e del pubblico come se fosse l’unica cosa che importasse.
Lo ero stato, nella mentalità e per ignoranza, o incompetenza, quel maledetto scrittore da migliaia di copie e ne avevo avuto bisogno per diventare un essere più nobile, almeno così mi giustificavo: uno che senza più tanta necessità di sopravvivere, ora, poteva finalmente scrivere quello che voleva; fare arte, come si dice, dopo aver riempito la cassa.
Per anni avevo vissuto con questa confortante riflessione in testa, ma il risultato sulla carta era stato più o meno sempre lo stesso, le copie vendute aumentavano, bevevo come un forsennato e scrivevo come un disperato.
Non ero capace, insomma, di godermi la vita, che durante pochi, piccoli attimi in cui sentivo la speranza di cambiare in meglio come una cosa possibile e raggiungibile, o in altri, più frequenti e più lunghi momenti, in cui mi dimenticavo di questa polemica in atto con me stesso.
Era esattamente sulla spiaggia di Matadeiro che avevo cominciato a scrivere, i miei primi racconti, trenta anni prima, durante una vacanza formidabile, che poi, a conti fatti, non fu nemmeno una vacanza, ma una fottuta rivoluzione necessaria all’ordine caotico della mia vita.
Raccolto il primo successo, dopo un anno di tentativi e di fanatico scrivere e riscrivere le stesse cose, avevo avuto l’occasione di arricchirmi coi miei due libri successivi che non ricordo più in quante lingue erano stati tradotti... o forse non l’ho mai saputo.
Due libri fenomenali considerati innovativi e meravigliosi eccetera, eccetera... ma che dentro e fuori di me avevo considerato poco più che mediocri.
Dopo avevo cominciato a viaggiare e quanto più sapevo sul mondo, peggio scrivevo, ma il successo mi aveva accompagnato dovunque, più peggioravo più venivo osannato da critici e lettori.
Arrigo Galli
Solo un uomo era stato della stessa mia opinione, a riguardo, per un caso fortuito quell’uomo era un noto critico letterario e mio amico d’infanzia.
Arrigo Galli viveva da anni negli Stati Uniti, avevamo ancora o meglio: di nuovo, un buon rapporto d’amicizia, nonostante le sue recensioni negative di quei tempi: primo perché aveva ragione, secondo perché nessuno gli dava retta31, essendo praticamente l’unico che aveva qualcosa da ridire32 su quel grande Mario Sompe che ero e sono io, terzo perché era l’uomo con cui conversavo con maggior piacere.
Non succedeva tanto spesso, ma quando c’incontravamo gli aggettivi perdevano il controllo di se stessi e la battaglia, anche se solo verbale era cruenta, ci abbandonavamo anche a momenti di grande sentimento, ricordavamo i vecchi tempi, entravamo in correnti di pensiero allo stato puro e cose di questo genere, ma anche di altri.
Certo, all’inizio l’avevo presa male, non mi ero reso ancora conto che lui mi stroncava perché la mia mediocrità era il fondo della verità, non discuteva la forma ma il contenuto, l’intento e non la maniera. Sullo stile mi elogiava, anche se diceva che era proprio da quello che si capiva che ero un falso, perché non combinava con quello che raccontavo.
Avevamo litigato per telefono, lo avevo considerato il mio nemico numero uno, per un bel po’, finché avevo capito, che era lui quello che seguiva il cuore e non i soldi ed io il contrario o quasi.
Di queste cose avevamo parlato da adolescenti, a Portovenere, continuando da giovanotti, a Berlino, poi da adulti, io a S.Paolo e lui a Seattle; dopo, mentre lui aveva seguito le nostre aspirazioni di lotta all’ipocrisia dilagante, ecco che io le avevo allontanate, incoscientemente, visto che combattevo contro me stesso da sempre e... che riuscivo a vincere, solo per un tempo limitato, da ubriaco.
Tutto questo per dire che era stato lui, attraverso una critica particolarmente aspra sul mio ultimo romanzo, ‘Per la durata di un sogno di seconda categoria’, che mi aveva fatto pensare di tornare alla spiaggia di Matadeiro, dicendo, senza mezzi termini, che avrei fatto meglio a ripartire da zero, o meglio da uno, aveva scritto, perché in fondo il mio valore più alto era stato raggiunto con la mia prima raccolta di racconti, in gran parte concepiti là, la famosa ‘Ossi di balena’.
Avevo letto quella rivista con il suo articolo ad Helsinki, ero là per una serie di conferenze, quando, arrivato all’ultimo giorno, avevo terminato, avevo preso l’aereo ed ero sceso diagonalmente da nord-est a sud-ovest, dalla Finlandia al Brasile. Maddalena mi aspettava a casa, a San Paolo, di là, con la sua vecchia jeep, avevamo percorso ancora qualche necessaria centinaia di chilometri.
Ex baleniere
Quando il signor Calò ci aveva venduto la casa, mi ero chiesto che cosa lo aveva convinto a farlo, il giorno precedente era stato talmente convinto del contrario... sapevo che era stato Aldo, lo avevo ringraziato e pagato, ma lui non aveva mai voluto spiegare come c’era riuscito, in così poco tempo.
Ogni tanto lo incontravamo, Aldo, girava per Armação come se fosse perduto, ma io immaginavo che se si muoveva era sempre seguendo una rotta calcolata.
Se ero da solo gli offrivo una cachaça di alambicco e gli chiedevo, cammuffando la domanda in mezzo alla conversazione, com’era che aveva costruito il miracolo. Ma lui niente, il suo viso rugoso da ex-baleniere non cambiava mai, il suo rifuto di parlare era cortese, ma deciso.
Avevo provato perfino ad ubriacarlo, senza risultato, nel senso che non ero nemmeno riuscito a vederlo brillo33. Se pagavo io non diceva mai di no, imponeva solo l’unica e tacita condizione che io bevessi la stessa quantità che beveva lui e più o meno allo stesso ritmo blando, lento ma continuo. Poi se ne andava a passetti rapidi e mi lasciava quasi incapace di alzarmi dal tavolo.
Maddalena non sapeva nulla di quella storia, se glielo avessi detto, avrebbe voluto sapere anche il ‘come’, allora non potevo nemmeno dirgli il resto. Inoltre era meglio non mettersi in strade senza uscita con lei, voleva chiarezza e con me già doveva sopportare un sacco di situazioni sgradevoli...
Aldo ed io parlavamo in italiano, a volte, lui era di Castelvecchio di Compito, un paese in cima ad una collina, con un bel castello in evidenza, in provincia di Lucca, ad almeno trenta chilometri dal mare.
Come è che era diventato marinaio?
Era la seconda domanda, in ordine d’importanza, per me, sulla quale avevo anche chiesto in giro, a chi lo conosceva.
Anche a questa non rispondeva, né lui, né nessun altro, quell’uomo era una fortezza inespugnabile e mi stavo veramente incuriosendo su di lui, non che lui non se ne accorgesse, ma non dimostrava alcuna reazione.
La terza domanda, che facevo a lui ed agli altri, era perché a volte zoppicasse ed altre no.
Aymorè, un marinaio la cui pelle aveva un colore incerto tra il nero e il blu, tanto vecchio e grasso, quanto simpatico e figlio di puttana, con il quale scambiavo qualche chiacchierata... con l’ausilio di una caipirinha o due... mi aveva detto, una volta, che era per causa dell’umidità.
Il mistero era per via del fatto che l’avevo visto cambiare di ‘andatura’ nel mezzo di una stessa camminata, oppure arrivava zoppicando alla Companhia do Mar, poi se ne andava mettendo perfettamente un passo dietro l’altro... oppure viceversa, come la sera in cui l’avevo conosciuto.
Comunque fosse, il nostro dialogo era di ampio respiro, su infiniti argomenti, mi parlava delle balene, di quello che si ricordava del suo paese, Castelvecchio. Qualche volta mi parlava anche del signor Calò, che conosceva da tanto tempo, che in fondo era un povero diavolo34, che la vita aveva indurito dal fuori, ma dal dentro no, che nel suo profondo interno era quello che si diceva ‘un dolce di cocco’.
L’unica cosa che forse non avrebbe voluto dire e che gli era scappata detta, aveva cambiato per un secondo l’espressione della sua faccia, per un attimo tutto il mistero che c’era nei suoi occhi aveva vacillato. Mi aveva sorpreso perché non avevo mai sospettato niente, dal suo modo di fare, durante i nostri frequenti incontri passati.
Ebbene sì, mi aveva riconosciuto e fin dall’inizio, mi aveva visto alcune volte alla televisione, ma non l’aveva detto a nessuno, parola di baleniere. Ho pensato tra me e me che la parola di un marinaio non vale molto, magari il baleniere era un tipo differente, avevo sperato, eppoi Aldo era un ‘siciliano’ di carattere, l’omertà35 era il suo stile di vita.
Aveva letto perfino qualcuno dei miei libri. Ma, naturalmente, non mi ha mai detto se gli erano piaciuti o no. Non glielo ho chiesto, sarebbe stato inutile. Gli ho domandato però quali delle mie opere aveva avuto occasione di sorbirsi, ha risposto che non si ricordava i titoli, né di che cosa parlavano, ma ne aveva letti, questo sì, due o tre. Leggeva molto.
Aldo viveva da solo, non era mai stato sposato, o almeno pareva di no, non aveva nessuno in Brasile, né in Italia e non aveva neppure voglia di parlarne.
Però era uno di quelli che amano raccontare episodi dorati del passato ed io a volte prendevo appunti. Si vedeva dal movimento degli occhi, dalle pause, si sentiva dall’emozione della sua voce, che riviveva di nuovo in quel momento quello che poche, essenziali parole descrivevano, assai bene, per uno che non aveva studiato.
A volte i suoi occhi attraversavano i miei, come se scorresse davanti a lui quella scena epica... in quei momenti pareva un cieco che si godeva il film della vita nella sua immaginazione, molto più vivo e ricco di particolari di ciò che gli uomini, resi insensibili dalla normalità ripetitiva delle cose, non riescono più a vedere. C’erano storie bastanti per farne l’enciclopedia delle avventure del lupo di mare.
Rideva raramente, quando lo faceva era come un bambino, gli occhi scuri s’illuminavano e apparivano addirittura due graziose fossette, mentre tentava di nascondere i denti rotti, cercando di non aprire la bocca. Però un po’ si vedevano.
E poi... perché aveva i denti rotti?
Calò: il calabrese coi baffi
Era il terzo giorno dell’anno duemila, un lunedì, seduto nella veranda, stavo scribacchiando una storia su uno dei miei molteplici taccuini, quando ho cominciato a distinguere, tra il pio-pio degli uccelli e la risacca shhhhhh-shhhhhhh delle onde, attraverso il canto kiè-kiè-kiè delle cicale e il vento fffffffsssss tra gli alberi, come una specie di ansimare hhhaa-hhhaaa di calabrese affaticato...
Maddalena, lì vicino a me, stava dipingendo un mare pieno di colori con dentro una mamma-balena con il suo balenottero dagli occhi dolci e profondi, anche un po’ misteriosi. Il terrazzo, di pomeriggio, rimaneva all’ombra ma circonfuso di una luce che non faceva male agli occhi ed era un’atmosfera buona per dedicarci alle nostre cosette.
La conversazione era stata di quelle rarefatte, con una frase ogni mezz’ora o giù di lì, entrambi maneggiando con calma i propri abituali attrezzi di lavoro. Erano le quattro di pomeriggio, grande e caldo sole, un po’ di afa.
Ma quel soffiare asmatico andava e veniva tra gli alberi, allora ho girato leggermente gli occhi verso destra e quello che ho visto, se non era ‘Seu Calò’, gli assomigliava parecchio36...
Con la faccia paonazza37, si stava arrampicando sul pendio. Sbuffava come una locomotiva argentina, nella dura lotta contro la legge di gravità, salendo per il percorso fatto di mille curve regolari, verso il crinale delle Ande. Vale a dire, in questo caso, in direzione della nostra casetta.
Messi i piedi sul lastrico, arrivato finalmente sul pari, è rimasto senza parole. Per ciò che ne sapevamo quell’uomo non pareva uno di quelli che hanno l’abitudine di visitare altri esseri viventi... chiunque essi fossero.
La sua maniera imbarazzata, attorno a quegli occhi spiritati, non ci aiutava per niente. Maddalena si dava da fare, balbettando di accomodarsi sulla sedia a sdraio, a chiedergli se accettava un succo di frutta o una birra, magari un caffé? Lui prendeva fiato e rifiutava tutto scuotendo la testa pelata e baffuta. Con la penna sospesa per aria, guardavo in silenzio la scena, un po’ mi giravo verso Maddalena, un po’ verso Calò. Quando questi38 ha aperto la bocca, ne sono uscite parole che, mi è parso evidente, seppur in sequenza logica e disposte a regola di sintassi, per noi non hanno avuto il medesimo significato che per lui avevano.
“Scusate se vi disturbo, il signor Aldo mi ha spiegato che voi artisti siete persone piene di problemi, un po’ come me, per questo non volevo incomodarvi... ma è passato... quasi... già un anno e volevo sapere... bene, lei sa già cosa le voglio chiedere, signor Sompe...”
Dall’espressione della mia faccia, sebbene nascosta da un cappello tipo australiano, dalla barbetta ‘sale e pepe’ (con più sale che pepe) e dai larghi occhiali da sole, chiunque avrebbe capito che io non ne avevo, invece, la benché minima idea. Oltretutto la sua umiltà mi è parsa strana, in quel momento, lo avevo conosciuto rude e aspro. Se per strada mi salutava sempre, il suo cipiglio39 era straordinario, non l’avevo mai visto ridere, inoltre c’è da dire che non si fermava mai a parlare, né con me, né con altri colleghi di vita catarinense.
Allora, visto che era venuto fino lassù e che noi ci stavamo chiedendo ancora quale ne fosse il perché, toccava ancora a lui a parlare:
“Molto bene, io volevo sapere solo... se avete già cominciato il mio libro... sì, intendo dire quello dove si parla di me... ho pensato che forse avete bisogno di qualche notizia e vi vergognate a chiedermela, ma sarebbe impossibile scrivere della mia vita senza che io vi faccia sapere qualcosa... Aldo vi ha raccontato i fatti più importanti, certo, ma forse è meglio che io ve ne dica la mia versione, certamente sapete che siamo stati... già... ebbene sì... che, sulle baleniere giapponesi, sì... noi abbiamo passato tanti anni insieme...”
Per cominciare a collegare quello che lui aveva detto ai nostri pensieri, visto che insistevano dal divergere, col rischio di perdersi chissà dove, abbiamo chiesto chiarimenti...
“Di che cosa sta parlando, signor Calò?”
Ad essere sorpresi eravamo in tre, Maddalena che non sapeva nemmeno niente della storia del sensale, Calò, anche lui mi pareva una povera vittima di quella farsa ed io, che ora parlavo finalmente, rompendo il mio silenzio e che stavo quasi cominciando a capire...
“È per questo che Lei ci ha venduto la casa?”
“Eppoi Aldo che cosa ha a che fare con questo?” Ha chiesto Maddalena.
L’espressione del calabrese è diventata tanto densa quanto indecifrabile, ha sbuffato alcune volte, ha girato sui tacchi dei suoi antichi zoccoli e se n’è andato.
L’ho accompagnato cogli occhi mentre scompariva tra il verde scuro degli alberi, è riapparso vicino al ruscello40, ha guardato indietro, verso di noi, è scomparso di nuovo e definitivamente.
Lo sguardo di Maddalena mi stava pungendo, dal dietro, mi sono girato e l’ho affrontato, con la poca calma che mi restava, per due o tre secondi...
“Che storia è questa?”
Le sue poche parole hanno risuonato per un lungo intervallo di silenzio denso, un’atmosfera fatta di decine di punti interrogativi sospesi nell’aria. La parte più pratica della mia mente pensava al come era possibile che io potessi scrivere un libro su Calò, persona insignificante e negativa... o meglio: era questo che volevano? Forzare un artista a violentare la sua ispirazione?
La lite fra Maddalena e me è cominciata allora, automaticamente, le avevo tenuto nascosto il fatto del sensale e proprio quel fatto aveva causato quest’altro... o viceversa?
Fra tutti i motivi che potevano aver fatto cambiare idea a Calò, quello era uno al quale non avevo pensato. Ma ora non c’era tempo di pensarci, perché Maddalena mi attaccava con una cascata di parole infuocate, ma... se stavo notando che stava lentamente cominciando a sbollire41 la sua rabbia, sentivo che la mia stava aumentando di pari passo.
Ecco un ben determinato tipo di situazione, cioè quella in cui mi sentivo in dovere di andare da Aldo con il fermo proposito di spaccargli la faccia.
Guerra fredda
L’armonia della nostra giornata se ne era andata a farsi fottere42 col passare delle ore, non riuscivamo più a lavorare, né a stare a nostro agio43 in mezzo alla nostra vita.
La discussione era passata attraverso varie visioni del futuro, tra le quali me ne era apparsa una, la più probabile: mi sarei sentito in colpa.
Di conseguenza: non potevo lasciare che una azione, di cui non avevo nessuna responsabilità, rovinasse la mia pace, d’accordo che non si trattava esattamente di pace, ma tutto è relativo... ed ogni cosa ha il suo limite, eccetera.
La notte, verso le dieci, dopo due bottiglie di Riesling e due bicchierotti di wodka finlandese, mi sono infilato dei sandali ai piedi e ho deciso di scendere a cercare Aldo.
Maddalena ha cercato di trattenermi aggrappandosi alle mie braccia, che però erano scivolose per il sudore, non ce l’ha fatta, è caduta ed ha rotto un vaso di fiori al quale era particolarmente legata, un laccio affettivo... di cui... però, ora, non ho voglia di raccontare.
Ho sorriso pensando che anche lei s’era bevuto qualche bicchiere in eccesso e ne è uscita una bella scenetta tragica... con un tocco di comicità cechoviana.
Sono sceso, udivo le imprecazioni di lei e il rumore delle onde, in un momento di lucidità avrei voluto che qualcuno filmasse quello che stava succedendo, ma chi era presente era molto occupato e... va là... eravamo solo noi due, per il momento.
La rabbia mi aumentava coll’andare dei passi, nel saliscendi della stradina che conduceva al paese... o meglio, direi che era una confusione di pensieri drammatici che saltellavano in me, capivo sempre meno che cosa stavo facendo, forse l’alcool sballonzolato44 dentro il mio corpo, di conseguenza nubi distillate dal vapore salivano e circolavano tranquillamente su per il cervello.
A casa Aldo non c’era, che avesse fiutato il pericolo? Sono passato anche alla ‘Compagnia del mare’, ma niente, allora ne ho approfittato, già che mi trovavo in loco, per rinfrancarmi, solo un paio di bicchieri. Al ritorno sono precipitato malamente dal ponticello ed ho assaporato l’acqua marrone del fiumiciattolo, bestemmie ne sono seguite abbondanti e le stelle di quel cielo estivo sembravano meno luminose, più sporche... in qualche maniera subdole ed ingannevoli. Ho pensato che molte di loro non esistevano nemmeno più, ma che fingevano, con una certa mancanza di vergogna, che tutto andasse ancora bene in famiglia. In quel momento mi è parso che il mondo fosse una cosa assurdamente ipocrita.
Quando sono arrivato a casa, fradicio fuori e dentro, ho sentito che forse era stato meglio così, che Aldo si fosse nascosto. Maddalena, con lo sguardo perduto nel mare, seduta con i piedi sul parapetto, si stava fumando una delle mie sigarette Camel, un bicchiere di wodka in mano.
A casa di Aldo
Chi mi conosce superficialmente, avrebbe qualche difficoltà a credere che un omone come me, in una situazione di questo tipo, si possa sentire colpevole al punto di stare male. Colpa della mia educazione cattolica, per la quale un disgraziato, cresciuto in una società come quella dove sono cresciuto io, suo malgrado, si sentirà per tutta la vita colpevole per qualche cosa, non importa cosa.
Chi conosce Maddalena sa che in questo determinato tipo di situazione lei dà il peggio di se stessa e balla la rumba, in senso figurato, sui miei coglioni già abbastanza angustiati, incapaci di reagire.
La mattina dopo, verso le dieci siamo andati, io e lei, senza parlare per tutto il tragitto, da Aldo, che stavolta c’era, si capiva dalle finestre aperte. La sua casetta era piccola e pulita, una vecchia casa di stile portoghese, col tetto più lungo da una parte che dall’altra, il muro esterno dipinto di azzurro fino a quaranta centimetri di altezza, poi bianco, immacolato. Abbondanza di fiori, in giardino, una pergola di vite e bei grappoli di uva, ancora acerba.
Aldo ci stava aspettando, mi è sembrato, ci ha fatto entrare con un sobrio gesto della mano; sedutosi su una comoda poltrona di pelle, ci ha invitato ad accomodarci su un divano a quadri scozzesi.
Ha ignorato, senza mostrare alcuna emozione, il nostro sdegno, ho notato che evitava di guardarci troppo negli occhi. Con la maggior calma ha spiegato che Calò era un ottimo soggetto per un libro, perché, pure se esteriormente negativo, dal dentro era una ottima persona, solo che la vita lo aveva un po’ bistrattato45. Non ha risposto nemmeno vagamente alle seguenti domande: perché lo aveva fatto, perché si era approfittato di persone ignare, tra cui lo stesso Calò? Perché era un tale figlio di puttana, eccetera.
Per coincidenza, aveva a portata di mano una serie di pagine scritte a macchina da lui stesso, con le notizie essenziali sulla vita di Calò, alcune foto del soggetto, tra cui un ingrandimento di Calò travestito da donna, con i suoi baffoni dalla punta arricciolata.
Come usanza, a Florianopolis, per carnevale, gli uomini si vestono con abiti femminili e tutti truccati di rossetto e fondo tinta vanno per strada a divertirsi.
Per quanto difficile a credersi, l’apparire di questa foto, mi ha impedito di saltare addosso al mio compatriota, di dargli qualche pugno sul naso e faccia circostante, di tornarmene, insomma, a casa, un po’ più soddisfatto di come ne ero partito.
Il meccanismo del mio pensiero si era messo in moto: com’era possibile che un uomo chiuso, rabbioso, anti-sociale, timido e limitato come Calò si vestisse da donna per carnevale e riuscisse a scherzare su se stesso in quella maniera?
Comunque fosse, anche se un grillo aveva cominciato a cantare ‘Tu scendi dalle stelle’ nella mia testa, quella di Aldo non era la maniera di fare ed ho cominciato a riempire di titoli poco lusinghieri l’aria attorno al mio compaesano.
Ho dichiarato solennemente che non avevo nessun obbligo di fare una cosa del genere, non c’era nessun contratto che diceva che io dovessi scrivere un libro su Calò, oltre a questo che non sapevo scrivere questo genere di storie, non faceva parte del mio stile, non potevo cambiarlo a cinquantanove anni!
Potevo?
In fondo era quello che stavo cercando di fare, ma Aldo non c’era bisogno che lo sapesse.
Invece lo sapeva, o almeno così sembrava, visto che insisteva placido su un determinato tipo di soluzione, per il nostro volgare problema: che prendessi almeno quel materiale per dargli un’occhiata, se fosse stato inaccettabile, se non poteva esser usato per fare un libro, avremmo trovato una altra maniera.
Questo mi è sembrato quasi ragionevole e, anche se riluttante, ero allo stesso tempo un po’ curioso. La mia rabbia era svanito dopo lo sfogo di parolacce, allora ho teso la mano e ho preso quei fogli e le foto, il mio equipaggiamento visivo ha notato anche, suo malgrado46 ma non troppo, che c’era anche un articolo di un vecchio giornale che parlava di un atto di eroismo su una nave da carico.
Aldo ha sorriso, le sue fossette si sono aperte, la sua chioma47 ridicola s’apriva al vento che passava, tra la porta e la finestra, un raggio di sole entrava pigro e in un turbine polveroso scendeva sul falso tappeto persiano; mentre Maddalena mi guardava con occhi che dicevano: “Mario! Vedi di non farti fregare di nuovo!”
Però io ho chiuso e preso quella cartellina gialla, sono uscito, senza dire niente, ho cominciato a leggere, camminando verso casa, ciò che riempiva cinque o sei pagine scritte a macchina. Maddalena mi accompagnava brontolando48 cose che al momento non mi interessavano, le sapevo già. Ho staccato l’audio e mi sono concentrato. Quell’uomo aveva un curriculum disgraziato, la sua vita era simile a quella di tante altre sventurate persone, però assai peggiore.
Nessuno amava scrivere, né tantomeno, leggere, la storia di una persona come Calò, che, oltre ad altri grossolani errori, aveva anche salvato la vita ad Aldo, il quale non se lo meritava... ma questo era un altro discorso.
Materiale per un libro
L’articolo del Corriere di Florianopolis, del 20 giugno del 1984, parlava di Calò, del suo coraggio, nel mettere in rischio la sua vita, di come aveva salvato l’amico caduto nel gelido mare della Patagonia.
Poi si parlava della moglie e dei tre figli (due femmine e un maschietto) morti in un incidente stradale; un altro articolo del giornale incollato alla pagina mostrava la foto dei quattro e quella dell’autobus rovesciato dentro al fiume Ararangua in piena. Per completare la tragedia un altro ritaglio senza foto diceva che: il suo figlio superstite, Wilson, era morto in una sparatoria in una favela di Florianopolis. Dall’articolo pareva che fosse un piccolo trafficante di droga, ma era solo un’ipotesi, e... anche se era così, restava il suo unico figlio in quel momento, cioè pochi mesi dopo l’incidente stradale.
Ri-riflessioni
Erano passati alcuni giorni, mi ero rimesso a scrivere sul mio progetto ‘Una casa sulla collina, a venti minuti dal centro di Porto Alegre’, che parlava della vita di un professore d’italiano, un emigrante peninsulare che vendeva la sua lingua correndo in automobile per la campagna del Rio Grande do Sul.
Ogni tanto, quando Maddalena non c’era e senza saperne il perché, riprendevo in mano quei fogli e quelle foto, le sfogliavo. Non c’era dentro niente d’interessante, una storia piena di disavventure, un uomo distrutto dalla vita, che c’era da scrivere? Tutte le volte, però, che prendevo in mano quella foto del carnevale, rileggevo la data, scritta a pennarello sul retro e ripetevo a me stesso che Calò si era dato alla burla del travestitismo dopo che aveva perso tutti i suoi cari, due anni dopo.
Questo significava qualcosa: quel povero disgraziato dopo essersi visto distruggere la famiglia, aveva avuto ancora l’energia positiva di mettersi in mezzo alla strada vestito da donna, di festeggiare il carnevale, di ribellarsi alla ingiustizia della vita, di tentare di cambiare la solitudine e la tristezza del suo mondo.
Maddalena era rimasta colpita da quella storia, forse quanto me, ma, forse ancora indignata per la maniera come tutto si era svolto49, quando ne parlavamo, diceva che dovevo fare come volevo, ma che per lei non ero la persona adatta per raccontarla. Mi sarei intristito e avrei abbracciato la causa della bottiglia, come tutte le volte che provavo ad essere nobile ed altruista e non ci riuscivo. Tutte le volte che volevo fare l’eroe davo uno spettacolo di me stesso che non mi aiutava... né me, né nessun’altro.
Dall’altro lato mi ribellavo a questa imposizione che mi diceva: tu, Mario Sompe, hai il dovere, morale e civile, di scrivere questa storia. Inoltre il dubbio mi assaltava, in incubi sudati e mi sussurrava malizioso nelle orecchie che era proprio perché non sapevo scrivere storie vere, che dicevo a me stesso che quella era una vicenda senza interesse.
Ma non stavo ripetendo da anni che me ne fottevo del lettore pigro e che volevo invece creare persone più coscienti, che un giorno, forse, avrebbero aiutato il sorgere di una coscienza per un cittadino medio meno inquadrato, affinché sempre più persone - finalmente - potessero vivere con una migliore cognizione di spazio e tempo?
Avevo scritto sempre inventando personaggi e storie, prendendo il tutto da quello che conoscevo, cioè il mondo: la mia esperienza diretta e anche indiretta. Conoscevo veramente il mondo? Oppure lo stavo guardando con un binocolo, da lontano, con la paura che mi contaminasse?
Mai avevo affrontato il copione50 di una storia di vita vissuta, questo mi aveva sempre fatto soffrire, ci avevo provato, senza esito. Partivo cioè, ogni volta, per altri progetti... scrivere era un piacere e perfino uno scarico di responsabilità, per me, se dovevo attenermi a qualcosa di fisso tutta la mia ispirazione si pietrificava! Se non mi riusciva di sentirmi bene, nel momento in cui scrivevo, insistevo un po’, visto che la testardaggine era la mia maggiore virtù, ma poi desistevo, passavo ad altri soggetti.
Questo era ciò che era sempre avvenuto.
L’armonia si era fottuta...
Sono passati i mesi e per quanto scrivessi a raffica, niente aveva a che fare con qualcosa, o meglio, tutto quello che usciva era tanto divergente, mal scritto e nervosamente messo insieme, che il mio prossimo libro avrebbe potuto intitolarsi: ‘Antologia del pensiero schizofrenico occidentale’.
La mia mente, persa in un tunnel, correva come impazzita attraverso grandi, medi e piccoli temi, ma non vedeva luce da nessuna parte, il suo movimento diventava sempre più convulso. Non riuscivo a fermarmi per dibattere, come avevo sempre fatto, con me stesso, per mettere giù le ragioni e le contro-ragioni conseguenti. Avevo sempre costruito un dialogo probabile, tra personaggi immaginari, su qualche tema scottante o meno, su qualche piccola ma indicativa realtà, su qualsiasi cosa, che interessasse o no, per un tempo che fosse sufficiente per capirci qualcosa, per non dover partire per un’altra direzione che non fosse la fuga dalla precedente.
In quei giorni avevo bevuto e scritto nella stessa maniera, vomitando e sentendomi male prima, durante e dopo, una sbornia senza fine che continuava senza possibilità di sfogo o di variazioni.
Svolta
Una notte sono sceso in paese già ubriaco e senza calzature ai piedi, era già autunno ed era freddino, lo vedevo da come erano vestiti gli altri, ma io ero pieno di una lava rovente fatta di miscugli alcolici. Ero partito senza sapere perché, come facevo a volte dopo aver bevuto un po’ troppo, forse perché avevo bisogno di calore umano. Da tempo non avevo visto Calò, con Aldo parlavo ogni tanto, eravamo più distanti di prima, ma ci facevamo ancora qualche cachaça di alambicco insieme, a volte, facendo quelle nostre strane conversazioni in cui io parevo un giornalista e lui un intervistato, ma lui non chiedeva niente ed io ignoravo di proposito alcuni silenzi, in certi casi, un poco carichi.
Sembrava che non fosse successo niente, che quel sogno di Calò che era salito su a casa nostra, per il quale ora ero in guerra con la letteratura e non solo con quella, non fosse mai avvenuto, dall’altro lato si sapeva più o meno quale era la realtà, ma non se ne parlava.
Tutto scorreva semplicemente seguendo la pendenza del terreno, come me che scendevo a valle barcollando51, come liquami puzzolenti in fogne scure.
Maddalena se ne era andata già da un po’ di tempo, mi telefonava ogni tanto da San Paolo, aveva tentato di aiutarmi, ma come si può aiutare qualcuno che sta combattendo contro l’ombra di se stesso?
Ho passato il ponte senza cadere nell’acqua, ma solo per un caso fortuito: il mio caracollare52 era poco laterale, era di quel tipo più propenso a spostare esageratamente il baricentro in avanti. Sono arrivato, come ispirato da qualche forza sconosciuta, alla casetta di Calò, una casa di stile portoghese come quella di Aldo, sulla riva del fiume, un po’ più lontana dal centro di Armação.
Mi sono avvicinato, inciampando sul dislivello del marciapiede, alla finestra illuminata, senza cadere... l’ho visto, al di là delle tendine di pizzo, il baffuto stava seduto su una sedia... ma al contrario, coi gomiti sulla spalliera e le mani a sorreggere la testa, guardava la televisione, da solo, anzi, con un gatto tigrato che dormiva acciambellato53 sul divano.
Non so perché mi sono messo a spiarlo, appoggiato al muro, di sbieco lo guardavo mentre si sorbiva una ‘novela’, col suo modo strano di stare con gli occhi aperti che parevano quasi chiusi.
La sua espressione era quella di sempre, con quelle gote rosse eternamente in tensione, la bocca chiusa, è rimasto immobile per almeno mezz’ora, prima di spengere la tele ed andare a letto. Non ho potuto interrompere quella porzione della sua vita fatta di giorni tutti uguali, ho continuato a guardare quello che faceva, dentro alla sua camera da letto, con i ritratti incorniciati della sua famiglia ben visibili sul comò.
Si è messo un pigiama verdolino di speranza scolorita, ha pregato in ginocchio sul tappeto. Ha chiuso la finestra, sempre con quella espressione immutabile sulla larga faccia, con la luce del lampadario di legno che si rifletteva sulla testa pelata.
Si è coricato e ha spento la luce.
Sono tornato a casa, ma solo dopo essere caduto nel fiumiciattolo, questa volta le stelle erano brillanti e vere come non mai. L’acqua gelata mi aveva fatto passare la sbornia di colpo. Il raffreddore mi ha reso immobile e pensieroso, è durato il tempo necessario per farmi capire chi ero io e che cosa stessi facendo al mondo.
Un uomo con i baffi
Per la prima volta, alcuni giorni dopo, Zandonà mi ha telefonato per dirmi che era ora di fare uscire qualcosa, la sua conversazione mi è piaciuta poco e gli ho detto che lui e il pubblico in attesa potevano fottersi, per quello che me ne importava.
Non gli ho nemmeno detto che avevo cominciato a scrivere ‘Un uomo con i baffi’, il progetto mi aveva preso per il collo, per quanto avessi tentato di resistere, però ora mi sentivo sempre più entusiasta. Rappresentava una svolta nella mia carriera, cambiava la mia motivazione, allora anche la forma era differente e lo stile, di conseguenza, era diventato nudo e crudo. Passavo dalle otto alle dodici ore al giorno scrivendo la storia, dalle due alle quattro ore parlando con Aldo e/o Calò, oppure intervistando con il mio registratore portatile le persone che avevano qualcosa da aggiungere.
Aldo e Calò
Aldo ha notato che ero dimagrito, il fatto è che mi dimenticavo di mangiare, ha detto che era sbagliato, ho concordato. Il giorno dopo sono arrivati, i due amici, trionfanti con vari sacchetti di supermercato pienissimi di vivande. Dopo i saluti, come se fosse la cosa più naturale del mondo hanno cominciato a cucinare. Mentre battevo un ritmo mitragliato sui tasti del mio strumento, loro conversavano attraverso un rap pacifico e facevano un accompagnamento di pentole.
Quando avevo bisogno di notizie smettevo di scrivere e registravo le loro testimonianze, cosa che non avevo mai fatto per gli altri libri, stavo reinventando l’intervista, che avevo sempre usato ma creandola dal niente. Con loro due sempre disposti a vuotare il loro sacco ed a riempire il mio, le pagine parevano vivere della loro stessa vita, bevevamo anche del vino insieme e... è chiaro, della cachaça di alambicco.
Hanno portato un materasso e uno dei due dormiva là, la notte, in cucina; poi, durante il giorno, entravano ed uscivano, facevano le loro cose, io non me ne interessavo. Stavano lì per cucinare e mangiare insieme a me, lavavano i miei panni sporchi, cambiavano le mie lenzuola, pulivano la casa. Si davano il cambio o rimanevano tutti e due, a cena in genere c’erano entrambi, gli orari erano regolari, non sgarravano54 mai, uno dei due era sempre lì pronto per qualsiasi evenienza e per l’ordinaria amministrazione di pasti e pulizie.
Gli ho chiesto se per caso erano due finocchioni che cercavano di arrufianarsi55 con me, per chissà quali sordidi motivi, hanno sorriso un po’ vergognosi, non hanno risposto. Non se ne sono andati che due mesi dopo.
Maddalena
Maddalena era tornata e ho pensato che l’avessero chiamata loro. La mia testa era molto confusa, mi ero annullato totalmente per scrivere, forse in una maniera che non avevo mai fatto, tutta la storia risuonava dentro di me e faceva male, ma faceva anche bene, solo che pareva che il resto non avesse più nessuna importanza.
Ma ora lei era tornata, finalmente e ne ero felice, volevo e potevo uscire da quelle pagine, adesso.
Quando è arrivata ha pianto, come non l’avevo mai vista piangere; ero dimagrito un po’, ha detto, ma ha notato che i miei occhi avevano una luce differente, in un certo qual modo furbesca56.
Il calendario mi sorprendeva assai ogni volta che lo guardavo, non di frequente, non usavo più l’orologio.
Abbiamo ricominciato a fare l’amore, che fa sempre bene soprattutto quando è sincero, naturale.
Sei mesi dopo, giorno più, giorno meno, usciva il librone: quattrocento pagine, tra le quali quaranta fotografie in bianco e nero; il titolo era stato cambiato, su idea dello stesso Calò.
Prima ‘Un uomo con i baffi’ era diventato ‘L’uomo con i baffi’, poi ‘Un calabrese con i baffi’, poi il definitivo ‘Un calabrese coi baffi’. La foto di copertina non poteva non essere quella del carnevale, ma l’avevamo fatta stampare in ‘virato seppia’ marrone. Da sola era già un’opera d’arte.
Quel rompicoglioni di Arrigo finalmente è stato soddisfatto, la sua recensione è ancora incorniciata sopra il caminetto, nella casetta della spiaggia di Matadeiro, dove ora vivo con Maddalena.
Recensione
“Il mondo saluta l’uscita dal tunnel di Mario Sompe, il quale, per la prima volta, affronta il tema della sopravvivenza, non solo come cammino necessario all’uomo per la luce o per la fama, ma anche solo per continuare la propria umile vita bruscamente interrotta da eventi tragici. Per ricominciare a sognare, per avere una prospettiva. Per tutti quelli che non sono riusciti, come lui aveva creduto sempre che avrebbero dovuto, in un modo o nell’altro, a sconfiggere le disgrazie e le loro conseguenze, solo perché avevano talento o magari qualche dono divino.
Fino a poco tempo fa Mario Sompe ci ha parlato di questi strani marziani, che popolavano sempre in gran numero le pagine dei suoi libri, ma che sono rarissimi sulla nostra terra.
I suoi lettori lo amano per avere reinventato gli illuminati, che opposti a grandi contrarietà non solo le vincono, ma raggiungono successo e gloria.
Il libro cominciava ed appena si iniziava a delineare un disgraziato che non riusciva ad uscire dall’enorme buco che il mondo infame gli aveva preparato... ecco che sapevamo già quale sarebbe stato il suo destino: un esempio illustre per tutti gli altri, la bandiera della vittoria, per tutti quelli che pensavano che non ce ne poteva essere una anche per loro.
Facile identificarsi in quello che Sompe scriveva, tanti si sentono almeno un po’ falliti nella vita, tanti hanno ideali ormai rassegnati a non realizzarsi, poiché credono che il loro cammino sia già tracciato, anche se ben differente da quello che avevano immaginato.
La vita spesso delude chi non la sa interpretare, ma anche chi è positivo deve lavorare duro per avere dei risultati. Sognare è giusto, oltre che bello, delirare è già un’altra cosa.
Questa però non era la visione di Mario Sompe, secondo lui era normale che il malcapitato reagisse e sovvertisse in un baleno57 la situazione. Che venissero le difficoltà per questi improvvisi mostri di forza e di determinazione, perché è in queste occasioni che la loro forza poteva svilupparsi e finalmente lottare in quella maniera leale ed inconfondibile che li avrebbe trasformati in poco tempo da sottosviluppati ad eroi coscienti e puri della vita moderna.
Amo la fantascienza, ma credo che si debba avvertire il lettore quando si scrive su qualcosa di fantastico, che la realtà è qualcos’altro.
Le persone non sono così illuminate come si vuol pensare, spesso annaspano58 per grande parte della loro permanenza sulla terra, questo non significa che non abbiano valore in sé, ecco che il loro eroismo quotidiano è un bel tema per un libro, che forse non è sempre troppo piacevole da scrivere.
‘Un calabrese coi baffi’ è una storia vera, per la prima volta Sompe s’incarica di raccontare al mondo l’avventura di un uomo che tenta di sollevarsi da una solenne batosta59: la perdita, in un lasso di tempo relativamente breve, di tutta la sua numerosa famiglia.
Il suo stile stavolta è la mancanza di stile, una cronaca scarna, per questo più reale e viva, vibrante e drammatica, eppure appassionante e comica, tragica ma anche esilarante, ogni tanto, come la realtà è... ed è sempre stata.
Senza il brillare di gioielli dorati quanto falsi, privata dei sensazionali ragionamenti teorici, di cui il nostro autore si avvaleva60 in altre opere, Sompe compie dentro alla sua stessa opera una metamorfosi, ma alla rovescia: da farfalla ritorna bruco.
Una farfalla che nel passato prossimo svolazzava in una fantascienza che pareva lungimirante61 quanto pretensiosamente autentica, tanto da essere addirittura ammirata ed imitata come stile e contenuto, in tutto il mondo.
Una farfalla che per fortuna non toccava mai il cuore, perché riempiva le sue pagine di astrazioni geniali ma vuote, estetismi che piacevano ma non riempivano, sfiorando62 appena, illusoria fino all’ironia, la ragione o i valori che attraversano la vita di tutti i giorni di milioni di persone.
La farfalla con un colpo d’ali ha spazzato il suo passato, riconoscendo, che la gente non ha bisogno di illusioni né di giustificazioni, ma di spinte, di incoraggiamento, di una dimostrazione tangibile che anche quello che stanno facendo, per quanto umile, vale la pena.
Ecco che Mario scrive finalmente della vita, anche se questo significa sofferenza e attesa, a volte più miseria che nobiltà, tragedia e commedia... anche se tutto questo non è sempre, esattamente, gradevole ed augurabile, questa è la vita.
Il bruco fa tanti piccoli passetti pelosi, non vola, è meno bello della farfalla, ma a noi ci assomiglia di più.”
Note dell’autore
1 cazzate = stupidaggini, scemate – 2 sassarese = di Sassari, città dell’isola e regione Sardegna – 3 piccino = piccolo, gergo toscano, in maniera affettiva – 4 rompicoglioni, cagacazzo = persona che disturba altre persone, può essere inteso anche in senso affettivo, ma non in questo caso – 5 scorreggetta = (piccolo) rumore emesso dal sedere (volgarmente: culo) – 6 rompiscatole = persona che disturba altra persona, in questo caso in senso affettuoso – 7 gilè = giubbotto senza maniche – 8 sparlare = parlare male di qualcuno – 9 con cazzi e controcazzi = provvista di tutto il necessario e anche di più – 10 fottuta = da fottere, aggettivo in gergo, positivo: ottima – 11 brizzolato = con capigliatura mista di capelli scuri e bianchi – 12 a squarciagola = gridando a piena voce – 13 scalpitare = essere impaziente – 14 lavorare di gomito = modo di dire, alzare la giuntura tra il braccio e l’avambraccio nell’atto di portarsi il bicchiere alla bocca per svuotarlo, bere, per ubriacarsi – 15 tuffarsi nell’alcool = modo di dire, immergersi nelle bevande alcoliche: ubriacarsi totalmente – 16 stizzosa zittella = donna non sposata, e di età avanzata e per questo rabbiosa – 17 togliersi di torno = levarsi di mezzo, andarsene per non disturbare – 18 ottenebrata = diventata ottusa per via dell’alcool - 19 sensale = intermediario che procura case e clienti per vendergliele, antenato dell’agenzia immobiliaria – 20 non essere nato ieri = persona vissuta, con esperienza, astuto, intelligente 21 tipo da sbarco = in gergo, una persona stravagante, ma che non si ferma di fronte ad alcuna difficoltà – 22 bicchiere della staffa = l’ultima dose di bevanda prima di tornare a casa o comunque prima di andarsene, la staffa è quella barra metallica dove si appoggiava il piede quando si beveva al banco di un bar – 23 rimorchiatore = imbarcazione piccola ma potente per trascinare le navi nel porto – 24 dopo-sbornia = dopo ubriacatura, effetti del giorno dopo – 25 che in mezzo ci passava un tonno a marcia indietro = letteralmente la marcia dell’automobile che va all’indietro, effettuata però da un pesce largo e voluminoso e con pinne spinose, come il tonno, per descrivere uno spazio larghissimo tra le gambe del personaggio in questione – 26 fregarsene = non dare importanza – 27 i liguri = abitanti della regione italiana Liguria – 28 amaca = pezzo di tessuto lavorato, attaccato con corde a due alberi o a due estremità qualsiasi, usata per dormire in paesi caldi (brasiliano: rede) - 29 occhi ammiccanti = occhi che comunicavano sensazioni e messaggi – 30 Brunello = vino toscano ottenuto dall’invecchiamento di almeno 5 anni del Rosso di Montalcino – 31 dare retta = dare attenzione, ascolto – 32 avere qualcosa da ridire = protestare, discordare, eccepire – 33 brillo = allegrotto, quasi ubriaco – 34 povero diavolo = un uomo non molto fortunato ma buono d’animo – 35 omertà = principio base della mafia, per cui nessuno fa la spia, in nessun caso – 36 parecchio = molto – 37 paonazza = molto arrossato in faccia – 38 questi = lui, egli – 39 cipiglio = serietà, gravità – 40 ruscello = piccolo fiume, fiumiciattolo – 41 sbollire = abbassarsi della temperatura – 42 se ne era andata a farsi fottere = era scomparsa, si era rovinata – 43 stare a proprio agio = stare bene, sentirsi tranquilli – 44 sballonzolare = scuotere, agitare, shakerare – 45 bistrattare = trattare male – 46 suo malgrado = contro la sua volontà - 47 chioma = capigliatura – 48 brontolando = dicendo tra sé e sé – 49 come tutto si era svolto = come tutto era successo/avvenuto – 50 copione = sceneggiatura, storia scritta per fare un film – 51 barcollare = camminare in maniera incerta, senza equilibrio, quasi cadendo - 52 caracollare = simile al precedente: camminare spostando, in questo caso involontariamente, il baricentro del proprio corpo – 53 acciambellato = con il corpo raccolto in posizione circolare – 54 sgarrare = non essere precisi, puntuali, uscire dall’ordinario – 55 arrufianarsi = essere gentili con qualcuno per ottenere qualcosa, o per semplice servilità – 56 furbesca = espressione vivace di astuzia o di energia - 57 sovvertire in un baleno = rovesciare molto rapidamente - 58 annaspare = muoversi in maniera convulsa, senza controllare i propri gesti, le proprie azioni – 59 batosta = colpo forte, sconfitta - 60 avvalersi = servirsi, fare uso - 61 lungimirante = in senso figurato; che vede più lontano o più profondo – 62 sfiorare = toccare appena, leggermente
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